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Propriocezione: il nostro “sesto senso” neurofisiologico

Indice

  1. Propriocezione: un senso inconscio

  2. L’allenamento propriocettivo: cos’è e perché è importante

  3. Come si eseguono gli esercizi propriocettivi

  4. Riabilitazione ed educazione alla propriocezione: gli infortuni (anche sportivi)

  5. La propriocezione in fisioterapia

  6. Propriocezione e prevenzione

La propriocezione, altrimenti detta il “sesto senso”, è la percezione della posizione del nostro corpo nello spazio che ci consente di eseguire azioni e gesti coordinati, indipendentemente dalla vista, sia durante il mantenimento di posture statiche che durante il movimento.

Propriocezione: un senso inconscio

Si tratta di un senso “extra”, seppur completamente inconscio, in quanto, a differenza degli altri cinque, è regolato da una parte specifica del cervello. La sua funzione è quella di raccogliere informazioni dai muscoli e dalle articolazioni sui nostri movimenti, la nostra postura e la nostra posizione nello spazio, e poi trasmetterle al nostro sistema nervoso centrale.

La propriocezione è, dunque, un complesso meccanismo neurofisiologico reso possibile dalla presenza di specifici recettori, chiamati “propriocettori”, e l’efficacia di ogni gesto che compiamo giornalmente è garantita proprio da tale meccanismo.

Quando si subisce un trauma, trattandosi di un evento che esce dagli schemi fisiologici delle articolazioni, il sistema propriocettivo si altera e le sensazioni e le risposte motorie sono diverse da quelle che si avvertono in una situazione di normalità. Per esempio, una persona che incontra una problematica alla caviglia (e.g. distorsione, tendinite, intervento chirurgico al ginocchio) e che non è più in grado di appoggiare il piede correttamente, inizierà a zoppicare.

Nei casi più gravi di distorsione alla caviglia, per riguadagnare elasticità a livello di muscoli e tendini, il recupero fisiologico inizia ben prima di appoggiare il piede a terra. L’appoggio del piede al suolo avviene successivamente e, solitamente, in maniera autonoma.

L’allenamento propriocettivo: cos’è e perché è importante

La ginnastica propriocettiva supporta il recupero della capacità di rispondere in maniera adeguata agli stimoli, che sono variabili e provengono sia dal terreno, sia dalla pratica sportiva. Questo tipo di attività permette di capire come le nostre articolazioni, dopo un trauma, siano in grado di riacquistare la loro corretta capacità funzionale.

L’esecuzione di esercizi a difficoltà graduale, progressiva, di lunga durata e con l’ausilio di attrezzature specifiche è alla base della ginnastica propriocettiva, il cui scopo è quello di produrre stimoli continui e ripetuti che educhino ed allenino le strutture neuro-motorie.

La rieducazione propriocettiva viene eseguita con tavolette basculanti, utilizzabili con entrambi i piedi (i.e. bipodaliche), o con un piede solo (i.e. monopodaliche), con le quali è possibile allenare l’equilibrio attraverso l’assistenza di un fisioterapista.

Come si eseguono gli esercizi propriocettivi

Tutti gli esercizi propriocettivi devono essere svolti a piedi nudi, soprattutto nelle prime fasi, e, per intensificare l’allenamento, è possibile adottare un’esecuzione ad occhi chiusi, o in abbinamento ad altri esercizi.

Il nostro equilibrio è controllato anche dalla vista e dall’apparato vestibolare, i quali ricevono le informazioni dal mondo esterno e, attraverso i propriocettori, forniscono al nostro organismo le informazioni esatte sulla posizione del corpo nello spazio.

Riabilitazione ed educazione alla propriocezione: gli infortuni (anche sportivi)

La pratica sportiva prevede un’estrema attenzione alla “qualità” del gesto motorio: uno sport svolto correttamente, infatti, permette di ottenere la massima performance e, allo stesso tempo, di evitare traumi ed infortuni.

La stimolazione propriocettiva è, quindi, di fondamentale importanza per tutti coloro che pratichino un’attività sportiva, garantendo un miglior controllo dell’attività muscolare, una maggiore stabilità articolare, una maggiore resistenza ai microtraumi, un maggior senso dell’equilibrio e, oltretutto, essendo particolarmente utile per la prevenzione di infortuni.

Pensando alla sensibilità propriocettiva della caviglia, il training basato su sollecitazioni controllate ed applicate alle articolazioni è molto importante per svariate tipologie di sportivi, come, ad esempio, danzatori, calciatori, runner, marciatori, pallavolisti e sciatori.

La propriocezione in fisioterapia

Attraverso un adeguato intervento fisioterapico e un’adeguata rieducazione propriocettiva è possibile ripristinare il normale meccanismo di propriocezione. Difatti, la riabilitazione propriocettiva ingloba tutte quelle tecniche ed esercizi utilizzati in fisioterapia che hanno lo scopo di recuperare e migliorare la propriocezione del nostro corpo.

Per raggiungere questo obiettivo, la fisioterapia utilizza tecniche manuali di mobilizzazione passiva, o assistita, e specifici esercizi attivi allo scopo di stimolare i recettori periferici che vanno a correggere e migliorare il movimento fisiologico.

Una delle tecniche utilizzate in fisioterapia è lo “schema di Panjabi” ovvero una piramide creata dallo studioso Panjabi nel 1992 secondo cui la stabilità di un’articolazione è garantita da tre elementi: anatomici, muscolari e propriocettivi.

Per una valutazione propriocettiva, al fine di costruire un protocollo di esercizi specifici, il fisioterapista valuta nel soggetto:

  • La sensibilità propriocettiva generale;
  • L’equilibrio statico bipodalico;
  • L’equilibrio statico monopodalico;
  • L’equilibrio dinamico bipodalico;
  • L’equilibrio dinamico monopodalico;
  • Il controllo del tronco e di tutta la parte superiore del corpo.

Propriocezione e prevenzione

Diversi studi presenti in letteratura basati sull’instabilità quantificabile dimostrano come un controllo propriocettivo può ridurre il rischio di distorsioni della caviglia, distorsioni del ginocchio e lombalgia. La stimolazione propriocettiva è, perciò, di fondamentale importanza per la prevenzione di infortuni.

Non sempre ci si accorge di avere una scarsa propriocezione. Quando si cammina su superfici instabili, si può avere la sensazione di stare per perdere l’equilibrio e talvolta, si può addirittura cadere e/o riscontrare problemi con quei compiti motori che richiedono precisione di movimento.

Il fisioterapista è la figura professionale che può valutare l’equilibrio e la propriocezione, prescrivere degli esercizi che aiutino a migliorarla ed educare il paziente alla comprensione della propriocezione, fattore chiave per ottenere una efficiente stabilità statica e nei movimenti.

Scoliosi idiopatica: disturbi e trattamenti nel bambino

Indice

  1. La scoliosi idiopatica

  2. Gli organi a rischio nella scoliosi idiopatica

  3. Il trattamento della scoliosi infantile

  4. Conclusioni

La scoliosi idiopatica è una patologia a carico della colonna vertebrale che si manifesta in età pediatrica.

La nostra colonna vertebrale non è “dritta”, seppur possa sembrarlo. Osservandola lateralmente ci si accorge che, in realtà, è curvilinea, simile ad una “S” molto allungata. La colonna vertebrale è, quindi, naturalmente “curva”.

Si parla di scoliosi quando la colonna vertebrale vista posteriormente (anziché lateralmente), non appare dritta, ma mostra una maggiore sporgenza di una delle due metà del torace.

In presenza di scoliosi, le vertebre, invece di essere allineate e appoggiate l’una sull’altra, sono ruotate verso destra, o verso sinistra.

La scoliosi idiopatica

Clinicamente, il termine “scoliosi” indica una curva patologica della colonna vertebrale, accompagnata da una rotazione delle vertebre. Nella sua forma infantile viene detta “idiopatica”, in quanto non se ne conosce la causa.

Si parla di scoliosi idiopatica quando viene diagnosticata per la prima volta tra la nascita e i 3 anni di età. Si tratta di una patologia che solitamente si risolve spontaneamente, anche se vi sono rari casi in cui può progredire fino a raggiungere livelli di deformità piuttosto gravi.

Incidenza

I dati mostrano che negli Stati Uniti l’incidenza della scoliosi infantile sulla popolazione sia del 2-3%, in Gran Bretagna tra il 2% e il 4% e in Italia tra lo 0,4 e il 4%. Le scoliosi che si presentano in forme leggere, o moderate, colpiscono maggiormente la popolazione femminile, mentre le forme più severe della patologia, che sono molto rare, tendono a colpire soprattutto i maschi.

La maggior parte dei bambini che sviluppano curve anomale della colonna vertebrale lo fanno nei primi sei mesi di vita. Pur trattandosi di una condizione rara che rappresenta meno dell’1% di tutti i casi di scoliosi, quella infantile è una delle forme più gravi accertate in ortopedia pediatrica.

La scoliosi idiopatica ha una velocità di peggioramento maggiore rispetto a quella adolescenziale, in quanto è direttamente proporzionale alla velocità della crescita. I bambini che sviluppano la scoliosi prima dei 5 anni di età hanno più probabilità di avere anomalie cardiopolmonari nell’infanzia.

Cause

Nonostante la causa alla base dell’insorgenza della scoliosi infantile sia sconosciuta, vi sono tuttavia alcune teorie avvalorate da diversi studi scientifici.

Oltre alla teoria di tipo genetico, esiste una teoria, supportata da dati epidemiologici, la quale ipotizza che la scoliosi potrebbe derivare da una compressione della colonna vertebrale durante la crescita fetale a causa di pressioni esercitate dalle pareti dell’utero su un lato del corpo del feto.

Nei neonati con scoliosi, infatti, vi sono numeri più elevati di plagiocefalia, un leggero appiattimento di un lato della testa, e di displasia dell’anca che si presenta sullo stesso lato della curva scoliotica della colonna.

Diagnosi

Solitamente una visita pediatrica rileva la scoliosi infantile entro i primi sei mesi di vita di un bambino. Generalmente, la patologia si presenta con una singola curva toracica a sinistra, ma è anche possibile che la curvatura interessi sia la zona toracica, che lombare.

A seguito di un sospetto di scoliosi, vengono prescritti ulteriori accertamenti, come esami:

  • Neurologici;
  • Della testa;
  • Della schiena;
  • Delle estremità;

per verificare la possibile presenza di plagiocefalia e altre anomalie.

Gli organi a rischio nella scoliosi idiopatica

In caso di malformazioni molto gravi dovute alla scoliosi, il primo organo a risentirne è il polmone: non trovando spazio a sufficienza per svilupparsi correttamente, può comportare problemi di natura respiratoria.

La crescita incide sul peggioramento della malformazione della colonna, per tale ragione i bambini con scoliosi ad esordio precoce sono più a rischio. Lo spazio a disposizione per l’incremento del volume dei polmoni risulta ridotto e ciò può causare una significativa compromissione della normale respirazione.

Un altro organo a rischio in presenza di questa malattia è il midollo spinale. Anche se sono rari casi in cui la gravità della curva della colonna possa effettivamente determinare una compressione del midollo spinale, se ciò avviene, può causare problemi neurologici difficilmente, o, addirittura, non curabili.

Un altro aspetto da non sottovalutare sono la deambulazione compromessa e le limitazioni che da essa ne derivano, le quali possono avere risvolti negativi anche sullo sviluppo psicologico del bambino.

Il trattamento della scoliosi infantile

Il trattamento della scoliosi infantile prevede l’osservazione, l’ausilio del corsetto, la fisioterapia, oppure la chirurgia.

La probabilità di guarigione spontanea della scoliosi infantile è abbastanza elevata e proprio per questo l’osservazione rimane il primo metodo di trattamento.

Tuttavia, in caso di progressione della malformazione della colonna vertebrale con angolo di Cobb superiore a 20-25°, viene indicato il trattamento ortesico, ovvero l’utilizzo di un busto rigido.

Le scoliosi infantili possono, in alcuni casi, peggiorare nonostante l’uso dei busti correttivi e arrivare a deformità che richiedono un trattamento chirurgico.

La fisioterapia

Il trattamento fisioterapico può contribuire a contenere la deformità nei bambini.

La modalità di trattamento varia in base al tipo di scoliosi, alle conseguenze associate, all’angolo di Cobb, all’età del paziente, agli altri eventuali trattamenti attuati e alla tipologia di evoluzione della deformità.

La gestione della scoliosi infantile è complessa sia nei suoi meccanismi fisiopatologici, che nei suoi fattori evolutivi.

L’efficacia della sola fisioterapia nel ridurre la progressività dell’angolo di Cobb è controversa, nonostante alcuni panorami mostrino risultati positivi.

Gli esercizi risultano comunque essere efficaci nella riduzione degli effetti secondari della scoliosi infantile, come i disturbi dell’equilibrio, i disallineamenti posturali e l’asimmetria muscolare. Inoltre, l’associazione tra fisioterapia e trattamento con corsetto risulta in una maggiore efficacia della terapia rispetto al trattamento con solo corsetto.

La chiropratica

Attraverso la manipolazione vertebrale, tipica dell’approccio chiropratico, si può migliorare la mobilità di quelle aree della colonna divenute rigide per via delle curvature scoliotiche.

Il chiropratico, oltre che poter utilizzare tecniche terapeutiche manuali per “ammorbidire” l’area, può integrare anche degli esercizi posturali con lo scopo di alleviare significativamente i sintomi percepiti.

Il trattamento osteopatico

Durante la visita osteopatica il paziente scoliotico viene analizzato in maniera statica e dinamica attraverso movimenti e piegamenti. Valutazioni utili al fine di verificare la funzionalità di muscoli, legamenti e la gravità delle asimmetrie.

Da un punto di vista osteopatico, questa patologia deriverebbe principalmente da una compressione della colonna vertebrale tra la regione cervicale e quella sacrale e, pertanto, il compito dell’osteopata è quello di aumentare la mobilità della colonna vertebrale, ripristinando l’equilibrio muscolare e mobilizzando il bacino.

Conclusioni

È importante ricordarsi sempre che la colonna vertebrale ci sostiene per l’intero corso della nostra la vita.

Sottovalutare alterazioni e deformità posturali nelle delicate fasi evolutive dell’età pediatrica potrebbe avere conseguenze dirette sul bambino di oggi e l’adulto di domani.

Alluce valgo: la nostra salute parte dal piede

 

Indice

  1. La struttura ossea del piede

  2. Alluce valgo: cos’è?

  3. Alluce valgo: cause, sintomi e diagnosi

  4. Alluce valgo e gravidanza

  5. L’approccio del fisioterapista

  6. La nostra salute parte dal piede

L’alluce valgo è una patologia che affligge numerose persone, soprattutto donne, e che può comportare una sintomatologia dolorosa, dovuta ad alterazioni della struttura ossea interna del piede, le quali sono anche causa di deformazioni estetiche dell’arto stesso.

Tra i principali rimedi troviamo la chirurgia, ma anche trattamenti non chirurgici, di tipo conservativo e riabilitativo, per cui la fisioterapia può rappresentare un valido alleato.

La struttura ossea del piede

Il piede è quella struttura anatomica posta all’estremità dei nostri arti inferiori ed è composto da numerose ossa, legamenti, muscoli, articolazioni e tendini. Esso rappresenta una componente fondamentale per il supporto del corpo e l’elemento anatomico più importante per espletare questa funzione è proprio la sua struttura scheletrica.

Le ossa del tarso, del metatarso e le falangi sono i principali elementi costituenti la struttura scheletrica del piede, che contribuiscono in maniera significativa alle funzioni di sostegno, equilibrio e deambulazione del corpo umano.

Le conseguenze derivanti dal sottovalutare una problematica ai piedi possono essere svariate e di diversa entità: un piede dolorante può ridurre il movimento e portare ad un aumento di peso, oppure può causare l’assunzione di una postura scorretta, aumentando il rischio di cadute e, conseguentemente, di fratture.

Tra le condizioni mediche che possono colpire il piede troviamo, quindi: fratture ossee, distorsioni, deformità, malattie delle unghie, calli, duroni, tilomi, forme di artrite, neuroma di Morton e… l’alluce valgo.

Alluce valgo: cos’è?

Il termine “valgo” deriva dal latino e significa “allontanato dalla linea mediana del corpo”. L’alluce valgo, infatti, si forma quando l’osso al quale è collegato si sposta dalla sua posizione naturale per inclinarsi verso l’interno e il primo osso metatarsale del piede, invece, sporge invece verso l’esterno.

Questo inclinamento determina un gonfiore localizzato e doloroso alla base dell’alluce (la cosiddetta “cipolla”), con annessa infiammazione della borsa vicina (i.e. borsite) e innescando un processo degenerativo delle articolazioni (i.e. artrosi). Inoltre, quando questo gonfiore è molto pronunciato, può causare una deviazione della parte anteriore del piede dal suo asse, causando talvolta un’alterazione della postura e contribuendo così ad una serie di ripercussioni su altre parti del corpo, quali il ginocchio, il bacino e la colonna vertebrale.

Una patologia diffusa e, tipicamente, femminile

Come evidenziato da alcune statistiche, l’alluce valgo è una patologia che in Italia colpisce il 23% della popolazione tra i 18 e i 65 anni.

È una deformazione che tende a comparire in età matura, o senile, e che riguarda soprattutto le donne. Difatti, secondo i dati della Società Italiana di Ortopedia e Traumatologia (SIOT), il 40% delle donne italiane ne soffre con un’incidenza di ben otto volte superiore rispetto agli uomini.

Le ragioni che possono portare alla comparsa di questo disturbo sono molteplici e vanno da fattori ereditari sino all’utilizzo di scarpe inadeguate.

La causa dell’insorgere di questa malattia, nel 90% dei casi è di natura biomeccanica, ma solitamente l’origine vera e propria è nella parte posteriore del piede, ovvero nell’articolazione sottoastragalica del retropiede.

Alluce valgo: cause, sintomi e diagnosi

Altre cause, non di natura congenita, ma acquisita, che possono comportare la comparsa dell’alluce valgo, sono, ad esempio: l’utilizzo di calzature non adeguate, lesioni a carico del piede, alterazioni della postura, problemi di tono muscolare, malattie osteoarticolari, sovrappeso, alcuni tipi di artrite e malattie neuro-muscolari e del tessuto connettivo. E, se non curato, in alcuni casi, l’alluce valgo può anche indurre a complicazioni come l’artrosi dell’articolazione metatarso-falangea.

Seppur l’alluce valgo possa presentarsi come un semplice difetto estetico, la cosiddetta “cipolla”, può invece risultare molto dolorosa a causa dell’attrito con la calzatura. Inoltre, la deviazione dell’alluce può coinvolgere anche il secondo dito e le altre dita del piede, causando ulteriori deformità come, ad esempio, le dita a martello e/o l’accavallamento delle dita.

Sintomatologia e diagnosi

La sintomatologia può variare da persona a persona. Per alcuni pazienti il dolore si presenta nel secondo dito, piuttosto che nell’alluce e per alcuni è di tipo violento, pur senza avere significative deformità. In generale, comunque, l’alluce valgo è caratterizzato dalla presenza di diversi sintomi.

La diagnosi viene effettuata attraverso una visita medica, atta a valutare attentamente conformazione e capacità di movimento dell’alluce, col fine di indicare il tipo di rimedio più adatto al caso specifico.

Solitamente, la soluzione chirurgica è quella consigliata per correggere la deformità. Ove possibile, però, viene suggerito un tipo di trattamento non chirurgico, ma conservativo, che può essere efficace per intervenire sulla sintomatologia dolorosa, migliorando la vita quotidiana, ma senza correggere la deformità.

I rimedi non chirurgici includono:

  • L’assunzione di farmaci;
  • Trattamenti fisioterapici e la pratica di alcuni esercizi appositi per alleviare il dolore, oltre che per migliorare la funzionalità dell’articolazione;
  • L’uso di plantari, che aiutano a scaricare il peso in maniera equilibrata;
  • L’utilizzo di tutori e calzature comode a pianta larga.

Alluce valgo e gravidanza

Un fattore tipicamente femminile, non sempre conosciuto e che spesso può indurre a questo tipo di problematica è la gravidanza.

Durante la gestazione la donna va incontro ad un aumento di peso consistente, che spesso favorisce l’assunzione di una postura errata. Con il procedere della gravidanza, infatti, l’inclinazione del bacino cambia, portando ad una variazione anche posturale.

Lo spostamento del baricentro coinvolge tutto l’assetto corporeo, la camminata e, quindi, anche i piedi. In questa fase, la donna va, inoltre, incontro a mutamenti di tipo ormonale. Alcuni di essi, e più precisamente quelli relativi agli estrogeni e alla relaxina, hanno tra le loro funzioni quella di rendere i legamenti più elastici (rendendo elastico il tessuto di cui essi sono composti), i quali tendono così ad allargarsi e a subire il cedimento della volta plantare trasversale, favorendo l’insorgenza dell’alluce valgo, o il peggioramento di quello già esistente.

L’approccio del fisioterapista

La fisioterapia può giocare un ruolo chiave nella risoluzione dell’alluce valgo, sia nella fase conservativa, che in seguito ad un intervento chirurgico.

Abitualmente, il trattamento dell’alluce valgo inizia con la scelta di calzature specifiche. La figura del fisioterapista è in grado di consigliare le scarpe migliori per la condizione del paziente, ma può anche valutare l’utilizzo di dispositivi appositi, come i distanziatori delle dita, o speciali cuscinetti.

Le modifiche alle calzature e l’uso di tutori possono consentire di riprendere praticamente sin da subito la normale camminata e il fisioterapista può, inoltre, suggerire lo svolgimento di attività adeguate, che consentano un recupero ed un mantenimento efficaci.

Una delle tecniche utilizzate dal fisioterapista è la “mobilizzazione delle articolazioni della punta del piede”, in grado di aiutare i tessuti ad allungarsi dolcemente e le articolazioni a muoversi con normalità.

Il fisioterapista, se necessario, può prescrivere alcuni esercizi di allungamento e rinforzo del piede per combattere la progressione della deformità e/o esercizi per rafforzare i muscoli atti a sollevare l’arco plantare e migliorare la propriocezione.

Alluce valgo: la fisioterapia preventiva e riabilitativa

L’approccio fisioterapico può essere di due tipi: preventivo e riabilitativo.

La fisioterapia preventiva ha come obiettivo quello di limitare l’aggravarsi della comparsa della patologia. Un intervento fisioterapico tempestivo che funge da “educatore” può ripristinare la corretta anatomia del dito e del piede. Il fisioterapista, infatti, va ad istruire il paziente sulle abitudini corrette da adottare, sugli esercizi da svolgere in autonomia e su quali comportamenti evitare.

La fisioterapia riabilitativa, d’altro canto, si mette in atto quando è necessario rendere di nuovo funzionale la struttura danneggiata e viene eseguita nel momento in cui si presentano dolore, borsite, infiammazione, eritema cutaneo, mobilità ridotta.
Infine, allo scopo di ridurre la sintomatologia, il fisioterapista può anche affidarsi a terapie manuali e fisiche specifiche come: la Tecarterapia, la laserterapia e gli ultrasuoni.

La fisioterapia post-chirurgia

Attraverso l’operazione chirurgica si interviene sulla deformità e il recupero della biomeccanica del piede, riportando il più possibile la struttura del piede ai livelli fisiologici iniziali.

Questo, però richiede un periodo di immobilità a seguito del quale è opportuno effettuare un ciclo fisioterapico, al fine di riprendere la mobilità del dito, evitare la formazione di aderenze cicatriziali e recuperare la deambulazione con esercizi di stretching e di rinforzo.

La nostra salute parte dal piede

Essendo il piede considerato l’estremità ultima del nostro corpo, potrebbe risultare alquanto paradossale pensare che la nostra salute possa partire proprio dal piede stesso. Tuttavia, è proprio questa estremità a farsi carico del peso corporeo e a permetterci, fisicamente, il movimento, mantenendo l’equilibrio e agendo sulla circolazione venosa e linfatica.

Basti pensare che la nostra intera struttura scheletrica viene sostenuta dai tre punti fondamentali del piede: il calcagno, la base dell’alluce e il mignolo; ed è per tale ragione che prendersi cura della salute dei piedi è un’abitudine sana ed essenziale.

Rischio caduta nell’anziano: la vecchiaia è un’età da preservare

Invecchiare è uno degli obiettivi di una società che vuole essere sana e, di conseguenza, longeva. Una tra le più diffuse problematiche per l’anziano e la qualità della vita nella terza età è rappresentata dal rischio di caduta e le conseguenze che ne possono derivare.

La salute degli anziani è un argomento di rilievo che ricopre sempre maggiore importanza all’interno di una società che sta vivendo una sorta di rivoluzione demografica. Si considera, infatti, che nell’anno 2000 al mondo c’erano circa 550/600 milioni di persone con più di 60 anni di età e, secondo alcuni studi, nel 2025 ce ne saranno 1,2 miliardi, fino ad arrivare a circa 2 miliardi di persone nel 2050. Motivo più che sufficiente per impegnarsi a preservare e custodire l’anzianità, quale uno dei principi cardine della collettività.

La “elderly”, ovvero la “terza età”, è il periodo ultimo del ciclo vitale umano: è quel momento in cui, tendenzialmente, le persone hanno raggiunto la cosiddetta “senescenza”, ovvero il processo organico di invecchiamento che limita le capacità rigenerative dell’organismo umano. È proprio a partire da questa età che il corpo e la mente divengono più sensibili a disagi, sindromi, lesioni e malattie.

La caduta nell’anziano e le conseguenze per la salute fisica e psicologica

Tra le problematiche di maggiore rilevanza per gli anziani troviamo una progressiva instabilità nell’equilibrio e, quindi, un maggiore rischio di cadute e le conseguenze che ne possono derivare. Questi fattori, difatti, sono all’origine di tassi di mortalità e morbilità elevati. Si tratta di una sindrome geriatrica che limita la mobilità e favorisce un ingresso prematuro in residenze assistite.

In Italia, nel 2002 è stato stimato che il 28,6% degli over 65 anni è soggetto a caduta nell’arco di un anno e il 60% delle cadute si verificano in casa, dove gli ambienti a maggior rischio sono: la cucina (25%), la camera da letto (22%), le scale interne ed esterne (20%) e il bagno (13%).

Le cadute possono avere conseguenze immediate, o tardive che tendono ad essere più severe con l’avanzare dell’età. Oltre ad un leggero infortunio, come un livido, uno strappo muscolare, o una slogatura, le cadute possono provocare lesioni più gravi, come fratture ossee, tagli profondi e persino danni agli organi. Le fratture più frequenti interessano il femore, il braccio, il polso e il bacino.

Il trauma più temuto ed incisivo è sicuramente quello relativo alla frattura del femore, la quale interessa ogni anno 90mila persone. Per 35mila di queste l’accaduto degenera in invalidità, con un’incidenza che è, inoltre, in crescita.

Gli esiti di una frattura femorale comportano anche un rischio di mortalità. Tale rischio è stimato in una misura di circa il 5% durante la fase acuta e il 15-25% entro un anno, mentre solo il 30-40% riacquista un’autonomia compatibile con le attività della vita quotidiana precedenti al trauma.

La caduta nell’anziano: un problema anche sociale ed economico

Il problema delle cadute nella popolazione anziana non è semplicemente legato all’elevata incidenza del fatto in sé, ma si tratta, piuttosto, di un insieme di fattori che ne facilitano il decorso degenerativo.

Difatti, secondo i dati raccolti dallo studio “Health and Retirement”, condotto per conto del “National Institute of Aging statunitense, la crescita percentuale del verificarsi di cadute non è correlata unicamente ad un fattore demografico (i.e. all’età), ma anche ad una serie di fattori ambientali e personali, oltre che fisiologici.

L’incremento delle malattie croniche, l’uso di tranquillanti e/o antidepressivi (che tra gli effetti collaterali riportano anche vertigini e sonnolenza), le malattie neurologiche, quelle dell’apparato muscolo-scheletrico (come ad esempio l’osteoporosi), rappresentano tutte potenziali cause di un incremento nel rischio di caduta e di conseguenti lesioni.

Si tratta di aspetti che, tra l’altro, possono avere addirittura un peso maggiore sulla qualità della vita delle donne. È stato, inoltre, osservato che le lesioni da caduta costituiscono anche un grave onere, da un punto di vista economico, per il “Servizio Sanitario Nazionale“. La durata media dei ricoveri ospedalieri per fratture del femore di origine osteoporotica è la più lunga tra tutte le patologie acute.

L’influenza sulla salute psicologica

Anche l’aspetto emotivo-psicologico è un fattore rilevante, che può subentrare attraverso una “sindrome ansiosa post-caduta”. Questa sindrome spinge la persona a ridurre movimento ed attività in modo eccessivo proprio per la paura di cadere e ciò contribuisce alla riduzione della forza muscolare, favorendo una deambulazione anormale e un ulteriore aumento del rischio di caduta.

Inoltre, va anche considerato che la guarigione da una lesione, come per esempio può essere una frattura, è solitamente più lenta nelle persone anziane e ciò determina un maggiore rischio di cadute successive.

Una frattura importante a seguito di un incidente domestico spesso si può tradurre in una forma di disabilità e in severe ripercussioni psicologiche. Può accadere, infatti, che, a seguito della caduta, l’anziano subisca una perdita di sicurezza, che può essere causa a sua volta di un più rapido declino funzionale e di depressione.

L’importanza della prevenzione

Prevenire le cadute non significa solamente evitarle, o ridurne il numero, ma anche salvaguardare quanto più possibile l’autonomia e l’indipendenza dell’anziano, intervenendo in modo multifattoriale e attraverso un approccio medico di tipo valutativo e multidisciplinare.

La caduta accidentale connessa a pericoli presenti nell’ambiente domestico è tra le più diffuse; perciò, pensare ad una riprogettazione della casa a misura di anziano è, se possibile, senza dubbio il primo passo da adottare.

Per tutti coloro che mostrano precarietà nell’equilibrio, o nella camminata, sarebbe buona prassi sottoporsi a valutazione medica del sistema vestibolare, della forza muscolare degli arti inferiori, della sensibilità propriocettiva e della capacità visiva.

In questi casi, quindi, è importante rivolgersi, oltre che al proprio medico di base, anche ad altre figure, quali neurologo, cardiologo, fisiatra e fisioterapista.

Il fisioterapista è, infatti, quella figura sanitaria capace di contribuire a migliorare la deambulazione e l’equilibrio dei pazienti e a infondere loro nuova fiducia in se stessi dopo una caduta. Il fisioterapista può, inoltre, fornire suggerimenti su come evitare di cadere e può anche supervisionare l’allenamento e lo stretching, attenuando in modo significativo il rischio di caduta.

In conclusione, “invecchiare in saluteè un diritto di tutti e deve essere considerato un obiettivo delle attività di prevenzione utili al raggiungimento di una buona qualità della vita. La caduta in età senile interferisce con questo obiettivo e per tale motivo i pazienti anziani dovrebbero essere sottoposti a screening di routine per i fattori di rischio e affidarsi ad un programma di prevenzione delle cadute mirato e personalizzato.

“Mani che curano”: la chiropratica

Il corpo umano è un sistema molto complesso, basato su funzionamento e funzionalità calibrati (per natura) alla perfezione.

Nel corso della vita è normale, però, andare incontro a traumi, assumere posture errate, subire operazioni, oltre che dover anche fare i conti con altri tipi di fattori, come l’inquinamento ambientale, cibi addizionati artificialmente e stress emotivo, i quali generano disfunzioni che spesso si traducono in problemi riscontrabili in fastidi e dolori, come il mal di schiena.

Per affrontare e risolvere questo tipo di problematiche, senza dover ricorrere all’uso di farmaci, si può far riferimento all’aiuto di una professione sanitaria, basata sulla disciplina olistica, che si occupa della salute della persona nella sua interezza: la chiropratica.

Con il termine ”chiropratica” si intende una tipologia di medicina alternativa incentrata sulla manipolazione manuale della colonna vertebrale e sul benessere della persona, che trova il suo fondamento nell’equilibrio coesistente tra aspetto biochimico, strutturale e psicologico.

Quando la comunicazione tra sistema nervoso centrale (i.e. cervello e midollo spinale), muscoli e organi periferici funziona, i tre aspetti sopracitati lavorano in armonia e la persona è considerata essere in buona salute.

Una corretta struttura, allineamento e funzionalità della colonna vertebrale, quindi, sono necessari per il giusto funzionamento ed equilibrio dell’apparato neuro–muscolo-scheletrico ed è proprio su questo principio che si fonda la chiropratica.

Si calcola che, tra vita sedentaria e posture scorrette, l’80% della popolazione adulta soffra almeno una volta nella vita di lombalgia e cervicalgia e proprio per tale ragione, sempre più persone, oggigiorno, si affidano alle mani sapienti del chiropratico.

Chiropratica: un po’ di storia

Il termine “chiropratica” deriva dall’unione di due parole greche: “keir” e “praxis“, “mano” e “azione”. Di conseguenza, il significato letterale di chiropratica è “azione manuale“, o “azione con le mani“.

Secondo la definizione fornita dal Consiglio Generale di Chiropratica (General Chiropractic Council, o GCC), questa forma di medicina alternativa rappresenta “una professione sanitaria che ha interessi per la diagnosi, il trattamento e la prevenzione delle malattie meccaniche del sistema muscolo-scheletrico e per gli effetti che le suddette malattie hanno sulle funzioni del sistema nervoso e sullo stato di salute generale“.

Portata alla luce nel 1895 dal suo fondatore, il canadese Daniel David Palmer, la chiropratica ottenne i primi riconoscimenti da parte delle comunità mediche e da parte dell’OMS (Organizzazione Mondiale della Sanità) solo negli anni ’90. In Italia, il suo riconoscimento legale risale al 2007. Nel corso degli anni, la chiropratica è stata riconosciuta anche dalla medicina classica in molti paesi del mondo. Negli Stati Uniti, ad esempio, è una terapia rimborsata dal sistema sanitario pubblico.

Per Daniel David Palmer molte malattie e disturbi muscolo-scheletrici sono il frutto di disallineamenti della colonna vertebrale, che non consentono al flusso di “energia vitale”, insito all’interno del corpo e generatore di salute, di scorrere fluentemente nell’organismo.

Cosa fa il chiropratico?

Il dottore in chiropratica, utilizzando criteri basati sulla biomeccanica e sulla neurologia, attraverso tecniche manuali sofisticate, riesce ad individuare le disfunzioni primarie e, conseguentemente, ad agire ripristinando il giusto funzionamento della colonna vertebrale, dell’apparato muscolo scheletrico e del sistema nervoso.

Riconducendo i problemi strutturali del corpo a squilibri tra articolazioni e nervi, e in particolare a quelli che riguardano la colonna spinale, il chiropratico, tratta il disturbo agendo a livello della colonna, così da evitare che possa interferire con i nervi presenti, provocandone la sublussazione e dando luogo a vari sintomi, come ad esempio: mal di schiena, dolore alla cervicale, cefalea, dolori alle spalle e collo, parestesia agli arti, sciatalgie, disturbi del ciclo mestruale e diversi altri disagi.

Oltretutto la chiropratica non cura solo il benessere del corpo, ma anche quello della mente attenuando i disturbi legati alla depressione e all’ansia.

Prima visita e trattamento

La peculiarità del lavoro svolto dal chiropratico è rappresentata dalla cosiddetta “manovra di aggiustamento”, che, con il ripristino del corretto stato della colonna, conduce il corpo all’auto-guarigione. È proprio durante la manovra di aggiustamento che avviene il caratteristico “scrocchio“, detto “scroscio articolare”, provocato dalla improvvisa diminuzione della pressione intra articolare con annessa produzione di formazioni gassose all’interno del liquido sinoviale delle articolazioni.

Durante la prima visita il chiropratico fa una valutazione ortopedica, neurologica e funzionale del paziente per capire se è idoneo ad essere sottoposto ai trattamenti. Normalmente, le sedute si svolgono con cadenza settimanale per poi, lentamente, distanziarsi su archi temporali maggiori. Quando la situazione si è stabilizzata, è molto utile fare dei controlli regolari, per poter mantenere le correzioni nel corso del tempo e, soprattutto, per evitare una recidiva.

Accade, a volte, che dopo il primo trattamento i sintomi si possano acutizzare. È bene ricordare che ciò è assolutamente normale, poiché il corpo sta reagendo, passando per un periodo di transizione, prima di raggiungere l’equilibrio dovuto.

Come si diventa dottore in chiropratica?

La carriera di chiropratico dura da cinque a sei anni universitari, al termine dei quali si diventa “dottore in chiropratica”. Attualmente, il laureando italiano in chiropratica non ha altra alternativa che quella di frequentare una università straniera riconosciuta e pertanto deve dimostrare una buona conoscenza della lingua inglese.

La chiropratica è anche una pratica di prevenzione

Spesso ci si abitua ad uno status, pensando di stare bene, senza rendersi conto che si potrebbe stare ancora meglio.

Dovremmo sempre più spesso ricordare che il dolore è il fine di un processo molto complicato e che già sin dal primo segnale, seppur lieve, deve essere visto come un avvertimento da parte del corpo.

Va, infatti, sottolineato che le problematiche posso presentarsi anche molto prima della comparsa del dolore e perciò sarebbe opportuno considerare la chiropratica anche da punto di vista preventivo, ambito in cui risulta essere molto utile ed efficace.

Un controllo chiropratico periodico, anche in assenza di sintomatologia dolorosa, migliora l’assetto dell’apparato neuro-muscolo-scheletrico e fa sì che possano essere evitati disturbi fastidiosi, o dolorosi come il mal di schiena e ulteriori, spesso invalidanti, problemi che ne conseguono.

Doping: un fenomeno rischioso per la salute pubblica

Con il termine doping, come regolamentato dalla legge 376 del 14 dicembre 2000, si intende “la somministrazione o l’assunzione di farmaci o di sostanze biologicamente o farmacologicamente attive e l’adozione o la sottoposizione a pratiche mediche non giustificate da condizioni patologiche ed idonee a modificare le condizioni psicofisiche o biologiche dell’organismo al fine di alterare le prestazioni agonistiche degli atleti“.

La pratica del doping costituisce un inganno non solo verso gli avversari, ma anche verso se stessi. Sottoporre un fisico sano all’assunzione di farmaci e sostanze per il miglioramento della performance sportiva rappresenta un insulto alla propria salute.

Doping: rischi ed eccezioni

Numerosi studi dimostrano come l’assorbimento di sostanze quali anabolizzanti, stimolanti, o ormoni, possa compromettere il fisiologico funzionamento dell’organismo con effetti che, nella maggior parte dei casi, si manifestano solo nel lungo termine e che talvolta possono rivelarsi fatali.

Solo in presenza di condizioni patologiche certificate da un medico e verificata l’assenza di pericoli per la salute, all’atleta può essere consentita la partecipazione alla competizione sportiva, nonostante l’utilizzo di sostanze ritenute dopanti. Esclusivamente in casi come questo, il doping, rientrando in un quadro di trattamento terapeutico specifico, può essere considerato ammissibile nella pratica sportiva.

Doping: le origini

Potenzialmente coetaneo dello sport, il doping è un fenomeno presente già nell’antichità. Il termine deriva dalla parola inglese “dope, che, in principio, indicava una mistura di vino e tè assunta dagli schiavi americani per rimanere attivi e sostenere ore ed ore di duro ed estenuante lavoro.

Già Galeno descrisse nei suoi scritti le sostanze che gli atleti romani assumevano per migliorare la loro prestazione. A quanto pare, i gladiatori, prima di scendere nell’arena, assumevano sostanze “dopanti”: perlopiù preparati a base di frutta fermentata a elevato contenuto alcolico (allo scopo di conferire all’atleta uno stato di euforia e ridurre la paura).

Il doping in Italia e l’utilizzo in ambito sportivo

La storia dello sport italiano, purtroppo, non esula da casi in cui atleti di fama internazionale hanno fatto uso di sostanze vietate, al fine di aumentare le proprie prestazioni fisiche.

Nell’anno 2019 sono stati effettuati controlli antidoping su 325 manifestazioni sportive, per un totale di 1.245 atleti sottoposti a test, di cui 839 maschi (67,4%) e 406 femmine (32,6%) con un’età media di 27,5 anni.

Di questi 1.245 atleti sottoposti al controllo, sono 86 quelli che sono stati esaminati e, complessivamente, 33 quelli che sono risultati positivi al doping (23 maschi, 10 femmine).

Non è stata rilevata una significativa differenza di genere, ma gli atleti di sesso maschile hanno registrato una netta prevalenza (28,1%) nella positività ai cannabinoidi, mentre le atlete (27,3%) sono risultate positive ad agenti anabolizzanti, a diuretici e ad agenti mascheranti.

Dall’ultima rilevazione del 2021 delle Federazioni Sportive Nazionali (FSN), delle Discipline Sportive Associate (DSA) e degli Enti di Promozione Sportiva (EPS), il 3,5% degli atleti sottoposti a controlli è risultato positivo ai test antidoping, segnando un incremento nell’uso di agenti dopanti rispetto al 2018 e al 2019, quando i positivi erano il 2,2%, e il 2,7%, rispettivamente.

Inoltre, è importante ricordare che questi numeri potrebbero non disegnare un quadro effettivamente esaustivo della diffusione dell’utilizzo di sostanze dopanti, poiché gli amatori tendono ad essere esclusi dalle rilevazioni, non partecipando a competizioni agonistiche e non essendo necessariamente iscritti a federazioni o associazioni.

Doping amatoriale: un allarme da non sottostimare

Il doping amatoriale, anche detto doping della domenica” risulta purtroppo essere una pratica pericolosamente diffusa e dilagante.

Traboccata dallo sport a livello professionistico fino ai centri fitness, il doping è divenuta un’insana abitudine anche per tanti frequentatori di palestre. Questo tipo di realtà, purtroppo, tende ad emergere solo a seguito di fatti di cronaca più o meno clamorosi, essendone il monitoraggio raro al di fuori dei contesti professionistici.

È un’attività dai rischi sottostimati legati anche alle modalità di reperimento delle sostanze: gli utilizzatori ricorrono spesso all’acquisto online, od attraverso canali alternativi, fatto che comporta una pressoché totale assenza di particolari accertamenti relativi alla qualità del prodotto.

Secondo alcune ricerche, circa l’80% dei “dopati della porta accanto” hanno un’età tra i 20 e i 30 anni, età che, al di fuori della percentuale indicata, può scendere fino ai 15 anni. Casi, questi ultimi, in cui il doping può comportare rischi ancor maggiori, incrementando le potenziali ripercussioni durante lo sviluppo e più a lungo termine.

È importante accendere i riflettori sul “doping della domenica”: un fenomeno sempre più praticato, parallelamente all’aumentata diffusione della vigoressia, un disturbo alimentare in cui l’attenzione ossessiva non è solamente focalizzata sulla perdita di peso, ma anche sull’ottenere un fisico scolpito nei minimi dettagli.

Doping: le sostanze utilizzate e i “side effects

In generale, le sostanze dopanti più diffuse sono:

  • Stimolanti per migliorare le prestazioni sportive;
  • Ormoni per aumentare la massa muscolare;
  • Insulina, in quanto sostanza anabolizzante.

Si tratta di farmaci molto pericolosi, poiché in grado di aumentare il rischio di malattie cardiovascolari, tumori epatici, stress, sbalzi di umore, patologie dell’apparato riproduttivo, nonché della disfunzione erettile precoce.

Un’altra pratica altrettanto pericolosa è l’autoemotrasfusione, ovvero il prelievo del proprio sangue e la sua reintroduzione nell’organismo, dopo l’immissione di componenti dopanti.

Regolamentazione e controlli

Il ricorso al doping è un’infrazione sia dell’etica sportiva, sia della scienza medica. Vi sono, infatti, regolamenti sportivi che lo vietano e lo disciplinano, obbligando gli atleti a sottoporsi ai controlli antidoping attraverso l’analisi delle urine e del sangue. Gli atleti che risultano positivi alle analisi vengono squalificati per un periodo più, o meno lungo e, in casi di ricaduta, vengono squalificati a vita.

L’Agenzia Mondiale Anti-Doping, oltre ad essere responsabile dei programmi internazionali efficaci nelle competizioni per lo screening degli atleti, si occupa dell’aggiornamento costante di un elenco delle sostanze e dei metodi che sono incompatibili con gli ideali dello sport e che dovrebbero essere vietati nella competizione atletica.

L’importanza di prevenzione e informazione

Il doping è un serio problema per la salute pubblica e per lo sport, ma, nonostante ciò, c’è ancora poca consapevolezza dei rischi a cui si va incontro. La presenza di una componente “fai da te” importante, inoltre, rende questo fenomeno ancor più pericoloso per la salute e la vita stessa. È necessario chiarire quanto stimolanti ed anabolizzanti possano essere nocivi per l’organismo, comportando un prezzo da pagare molto elevato e che, spesso, si manifesta a distanza di tempo, rendendo pressoché impossibile un recupero tempestivo ed efficace.

Prevenzione, formazione ed informazione devono essere promosse a più livelli: dall’ambito familiare e scolastico, a quello delle società sportive e del Servizio Sanitario Nazionale.

Giornata mondiale della salute: tra equità e prevenzione

“Salute per tutti” (“Health For All”), è il tema scelto per la Giornata mondiale della salute 2023 che ricorre il 7 aprile di ogni anno, data contigua alla Giornata mondiale dell’attività fisica che si celebra il 6 aprile (sostenuta dall’Organizzazione delle Nazioni Unite). Due date correlate per evidenziare l’importanza del tema volto al benessere a 360 gradi dell’individuo.

Essendo di fondamentale importanza per una vita degna di essere vissuta a cospetto della collettività a cui apparteniamo, essere in salute non rappresenta solo un fatto personale, ma anche sociale. Difatti, la salute di ognuno di noi ha un impatto diretto sulla società, contribuendo allo status di salute collettivo.

Una giornata per l’abbattimento delle barriere sanitarie

Istituita nel 1948 dall’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS), che quest’anno celebra 75 anni di miglioramento della salute pubblica, questa giornata mette in evidenza l’importanza di affrontare ed eliminare le disuguaglianze e richiama l’attenzione sulla necessità di una visione più ampia del concetto di salute.

L’OMS ha sollecitato nella sua costituzione la salute come diritto fondamentale di ogni essere umano oltre che come fondamento della pace e della sicurezza. Con l’istituzione di questo giorno si vuole anche dare un’opportunità per affrontare le sfide sanitarie di oggi e di domani. Si vuole, inoltre, mantenere il mondo sicuro e abbattere le barriere geografiche, di modo che tutti, ovunque, possano godere del diritto dei più alti standard di salute e benessere possibili.

La Dichiarazione Universale dei Diritti Umani del 1948 menziona la salute come elemento essenziale per un tenore di vita adeguato; diritto altresì riconosciuto come umano nel Patto internazionale sui diritti economici, sociali e culturali del 1966. Si tratta perciò, di un diritto fondamentale per tutti gli Stati, i quali non si risparmiano nel difenderlo anche attraverso dichiarazioni internazionali, leggi e politiche nazionali.

Come stabilito dall’Art. 32 della Costituzione Italiana, l’OMS vede il diritto alla salute come un diritto che non si limiti alla sola assenza di malattia, ma che comprenda anche il benessere fisico, mentale e sociale. Ha quindi una rilevanza inestimabile ed è una componente necessaria per poter condurre una vita dignitosa.

La Giornata mondiale della salute e il gap di accessibilità tra paesi ricchi e poveri

Nonostante il susseguirsi nel corso del tempo di leggi e di sviluppi, purtroppo le disuguaglianze sanitarie continuano ad esistere e, oltre che incentivare il divario di equità, minacciano anche i progressi compiuti fino ad oggi. Questa giornata dedicata alla salute costituisce anche una strategia per indirizzare una maggiore attenzione verso i gruppi più vulnerabili ed emarginati.

Lo scoppio della pandemia da Covid-19 ha rimarcato ancora una volta la crepa esistente fra i diversi paesi del mondo. Alcuni hanno dimostrato di disporre di risorse economiche ed istituzioni in grado di resistere alle ondate del contagio, mentre in altri la diffusione del virus ha contribuito ad inasprire ulteriormente le condizioni di povertà della popolazione.

Esistono, quindi, tutt’oggi, delle situazioni in cui garantire il rispetto del diritto alla salute è ancora difficoltoso. Basti pensare all’approvvigionamento dei vaccini: i paesi ricchi hanno potuto ottenerne in quantità adeguata rispetto alla densità della popolazione, a differenza dei paesi più poveri ed instabili che non godono ancora di sistemi sanitari efficienti.

Un esempio ci viene fornito da realtà come l’Africa subsahariana e l’Asia meridionale, che risultano essere le più colpite da questo problema. Si tratta di paesi che, da soli, contano la metà dei decessi infantili nel mondo: sono oltre 13 milioni i bambini di età inferiore ai 5 anni che ogni anno muoiono per malattie che avrebbero potuto essere prevenute, o curate.

La prevenzione: un diritto ed un dovere fondamentale per il bene collettivo

La medicina è da sempre legata alla prevenzione. Già Ippocrate (460 a.C. – 377 a.C.), il padre della medicina, individuò in alcune abitudini alimentari il fondamento per mantenersi in buona salute.

Condurre uno stile di vita sano è imprescindibile dall’essere in salute. Se si vuole stare bene la parola chiave è cooperare. Se una persona contamina l’ambiente che frequenta, la probabilità che anche gli altri si ammalino aumenta e più persone si ammalano, più basse potrebbero essere le opportunità di cura che vengono garantite. La salute, inoltre, è al contempo locale e globale: per stare bene a livello globale dobbiamo assicurarci un buon livello di salute locale.

Per poter raggiungere tale obiettivo l’azione da adottare è anzitutto quella della prevenzione, che deve essere uno scenario “vivo”, un modo radicato di pensare, di agire e di fare salute e non solo un pensiero, o un concetto di cui si sente parlare.

Tantissimi sono gli studi scientifici che hanno dimostrato l’importanza della prevenzione per ridurre l’incidenza delle malattie e la mortalità. Quasi l’80% dei casi di malattie cardiache ed ictus potrebbero essere prevenuti. Anche malattie come il diabete di tipo 2, alcuni tipi di tumori e di demenze si possono prevenire con una diagnosi precoce.

Salute, prevenzione ed informazione: un progetto più ampio

In questo contesto, l’OMS e l’Istituto Superiore di Sanità (ISS) mirano a potenziare le capacità delle persone di fare scelte responsabili per il proprio benessere. Indire la Giornata mondiale della salute è la fase iniziale di un progetto più ampio volto all’informazione sull’importanza non solo della salute, ma anche del fare periodicamente prevenzione, per far sì che maturi in ognuno di noi uno status di consapevolezza.

All’interno di questo progetto, la prevenzione e la promozione della salute vengono veicolate non solo attraverso l’importanza della diagnosi precoce ed il ruolo fondamentale delle vaccinazioni, ma anche attraverso una consapevolezza di quelli che sono i fattori di rischio comportamentali, che possono essere modificati: dal contrasto alle disuguaglianze all’azione sinergica di vari settori a livello sociale, economico ed ambientale. Una prevenzione e una promozione della salute in grado di abbracciare il concetto dello star bene ad ampio raggio, garantendo, così, buone condizioni di vita per tutti.

Gravidanza: prevenzione posturale e riabilitazione post-partum

La gravidanza, pur essendo una condizione assolutamente normale rappresenta anche l’evento umano più straordinario in assoluto: è uno dei periodi più particolari nella vita di una donna.

Quando scopre di essere incinta, la donna può provare un insieme di emozioni contrastanti, raggiungendo l’apice della felicità da una parte e quello delle preoccupazioni e dei cambiamenti dall’altra, e proprio per questo, diviene importante comprendere quali comportamenti ed abitudini sia meglio adottare durante questi nove mesi.

La gravidanza è un evento molto delicato sotto molti aspetti: da quello biologico, a quello psicologico, fino a quello sociale e a quello affettivo.

L’Organizzazione Mondiale della Sanità stabilisce che “la promozione della salute e del benessere in gravidanza implica il prendersi cura della donna come persona, ossia nella complessità degli aspetti biologici, psicologici e socio-affettivi”.

I cambiamenti del corpo in gravidanza

In pochi mesi il corpo si modifica per adattarsi all’evoluzione del feto in tutte le sue fasi, accogliendolo, proteggendolo e nutrendolo.

La crescita del feto durante la gravidanza implica una necessaria “riorganizzazione” del corpo e della postura della mamma per renderli più funzionali. Questo avviene sia a livello degli organi pelvici e dei muscoli addominali, sia a livello dell’aumento volumetrico dell’utero, che influenza l’assetto del tronco e degli arti inferiori.

Il mantenimento dell’elasticità dei muscoli del tronco e del bacino sono indispensabili per consentire di attraversare in modo sereno questo periodo, senza incorrere in disturbi che, una volta insorti, possono essere difficili da trattare.

In questo periodo il corpo della donna subisce molti cambiamenti: l’aumento dell’addome, il condizionamento fisico, la nuova postura, le variazioni ormonali, i muscoli addominali che si distendono; cambiamenti che sono spesso causa di dolori a livello lombare, pubico e sacro-iliaco. Difatti, il dolore lombare ha un’alta incidenza in gravidanza: ne soffre tra il 50 ed il 90% delle donne ed è una condizione che può rendere più difficile il parto e che, in circa il 25- 40% dei casi, può protrarsi anche dopo la nascita del bambino.

I trattamenti di supporto

È molto importante che questo processo ed i cambiamenti ad esso annessi, seppur naturali, non incontrino particolari ostacoli che possano creare difficoltà. Se la donna in passato ha subito traumi, incidenti, interventi chirurgici, questi cambiamenti corporei possono essere causa di dolori durante la gravidanza.

Gravidanza e trattamento fisioterapico

Un modo per ovviare a questi disagi, evitando che si trasformino in patologia, c’è e viene definito “fisioterapia preparatoria”.

Si tratta di un insieme di tecniche e programmi specifici che aiutano le mamme durante la gestazione; utili per la prevenzione del mal di schiena e per mantenere una postura corretta in gravidanza.

La fisioterapia è importante anche nella prevenzione della diastasi degli addominali. Infatti, il suo compito è quello di elasticizzare la muscolatura attraverso esercizi mirati volti a migliorare la respirazione, limitare crampi e gonfiore agli arti inferiori, preparare il bacino al parto ed “educare” la paziente all’importanza della riabilitazione del pavimento pelvico post-parto.

Utile è anche “l’istruzione” all’igiene posturale nella prevenzione di cervicalgie, dorsalgie e tendiniti agli arti superiori.

Gravidanza e trattamento osteopatico

Anche l’osteopatia risulta un valido aiuto e un supporto per garantire una gravidanza più facile e piacevole, rendendo più funzionali le strutture che hanno perso un proprio equilibrio.

L’osteopata lavora, quindi, attivamente sul corpo della paziente con tecniche dolci finalizzate a rilassare i tessuti e a recuperare la mobilità di articolazioni e muscoli.

L’intervento osteopatico è utile sin dai primi mesi della gravidanza in quanto si possono prevenire da subito la presenza di eventuali rigidità articolari e muscolari che, peggiorando negli ultimi mesi della gravidanza, potrebbero essere causare dolori.

I due approcci, fisioterapico ed osteopatico, sono quasi sempre integrati l’uno con l’altro, perché consentono di ottenere maggiori risultati e di rendere la paziente autonoma con esercizi che possono essere facilmente riprodotti a casa.

Gravidanza e trattamento chiropratico

Un’altra tecnica a cui è consigliabile affidarsi in stato di gravidanza è quella chiropratica.

Negli ultimi anni la chiropratica ha aiutato numerose donne in status di gravidanza sia per quanto riguarda le nausee mattutine che per il parto vero e proprio. Ci sono studi che affermano che donne in gravidanza che vengono trattate da chiropratici hanno un parto più rapido e meno doloroso.

Affidarsi ad un chiropratico durante la gravidanza è importante per mantenere l’allineamento pelvico, affinché non venga compromessa la quantità di spazio disponibile per lo sviluppo corretto del bambino e per evitare quindi la cosiddetta “restrizione intrauterina”. Altri effetti benefici riguardano la riduzione della durata del travaglio e del parto, nonché la riduzione della possibilità di incorrere in un parto cesareo e la diminuzione degli attacchi di mal di testa.

Riabilitazione fisioterapica post-partum

Il post-partum e il puerperio rappresentano un periodo importante di recupero psicofisico che richiede un programma di assistenza adeguato.

I disturbi che più si manifestano durante il periodo del puerperio riguardano le disfunzioni urinarie, le algie lombosacrali e pelviche persistenti e l’indebolimento dei muscoli addominali.

Durante la gravidanza, i muscoli addominali si affaticano e si rilassano. Dopo il parto quindi, risulta importante ritonificare la fascia addominale con una adeguata terapia riabilitativa la quale avviene solo dopo la riabilitazione perineale, se necessaria, al fine di evitare conseguenze negative su un perineo non stabilizzato (perdite urinarie, discesa di organi).

Questo tipo di riabilitazione ad effetto restitutivo ed antinfiammatorio deve essere eseguita da un fisioterapista, in quanto non si tratta di addominali classici, che appesantiscono il pireneo, ma di addominali ipopressivi che mirano a ridurre la pressione all’interno dell’addome.

Anche i problemi della pelle che bisogna affrontare dopo il parto possono essere sottoposti al trattamento fisioterapico, il quale può contribuire al ripristino della struttura dei tessuti,
favorendo una rapida guarigione della sutura esterna ed interna dell’utero (i.e. delle cicatrici).

Il consiglio del medico

Per evitare dolori alla schiena, frequenti soprattutto nell’ultimo trimestre quando il peso del pancione spinge sulla fascia lombare, è importante riservare alla schiena e alla postura assunta un’attenzione di riguardo sin dall’inizio della gravidanza. Con le giuste accortezze e con la terapia mirata, inoltre, si può ambire al ritorno alla normalità dopo il parto e, affinché sia possibile, occorre che le donne siano ben informate, sostenute e accompagnate lungo tutto il percorso di gravidanza e anche nel periodo immediatamente successivo, supportando un recupero a tutto tondo ed ottimale del fisico e della mente.