Rischio caduta nell’anziano: la vecchiaia è un’età da preservare

Invecchiare è uno degli obiettivi di una società che vuole essere sana e, di conseguenza, longeva. Una tra le più diffuse problematiche per l’anziano e la qualità della vita nella terza età è rappresentata dal rischio di caduta e le conseguenze che ne possono derivare.

La salute degli anziani è un argomento di rilievo che ricopre sempre maggiore importanza all’interno di una società che sta vivendo una sorta di rivoluzione demografica. Si considera, infatti, che nell’anno 2000 al mondo c’erano circa 550/600 milioni di persone con più di 60 anni di età e, secondo alcuni studi, nel 2025 ce ne saranno 1,2 miliardi, fino ad arrivare a circa 2 miliardi di persone nel 2050. Motivo più che sufficiente per impegnarsi a preservare e custodire l’anzianità, quale uno dei principi cardine della collettività.

La “elderly”, ovvero la “terza età”, è il periodo ultimo del ciclo vitale umano: è quel momento in cui, tendenzialmente, le persone hanno raggiunto la cosiddetta “senescenza”, ovvero il processo organico di invecchiamento che limita le capacità rigenerative dell’organismo umano. È proprio a partire da questa età che il corpo e la mente divengono più sensibili a disagi, sindromi, lesioni e malattie.

La caduta nell’anziano e le conseguenze per la salute fisica e psicologica

Tra le problematiche di maggiore rilevanza per gli anziani troviamo una progressiva instabilità nell’equilibrio e, quindi, un maggiore rischio di cadute e le conseguenze che ne possono derivare. Questi fattori, difatti, sono all’origine di tassi di mortalità e morbilità elevati. Si tratta di una sindrome geriatrica che limita la mobilità e favorisce un ingresso prematuro in residenze assistite.

In Italia, nel 2002 è stato stimato che il 28,6% degli over 65 anni è soggetto a caduta nell’arco di un anno e il 60% delle cadute si verificano in casa, dove gli ambienti a maggior rischio sono: la cucina (25%), la camera da letto (22%), le scale interne ed esterne (20%) e il bagno (13%).

Le cadute possono avere conseguenze immediate, o tardive che tendono ad essere più severe con l’avanzare dell’età. Oltre ad un leggero infortunio, come un livido, uno strappo muscolare, o una slogatura, le cadute possono provocare lesioni più gravi, come fratture ossee, tagli profondi e persino danni agli organi. Le fratture più frequenti interessano il femore, il braccio, il polso e il bacino.

Il trauma più temuto ed incisivo è sicuramente quello relativo alla frattura del femore, la quale interessa ogni anno 90mila persone. Per 35mila di queste l’accaduto degenera in invalidità, con un’incidenza che è, inoltre, in crescita.

Gli esiti di una frattura femorale comportano anche un rischio di mortalità. Tale rischio è stimato in una misura di circa il 5% durante la fase acuta e il 15-25% entro un anno, mentre solo il 30-40% riacquista un’autonomia compatibile con le attività della vita quotidiana precedenti al trauma.

La caduta nell’anziano: un problema anche sociale ed economico

Il problema delle cadute nella popolazione anziana non è semplicemente legato all’elevata incidenza del fatto in sé, ma si tratta, piuttosto, di un insieme di fattori che ne facilitano il decorso degenerativo.

Difatti, secondo i dati raccolti dallo studio “Health and Retirement”, condotto per conto del “National Institute of Aging statunitense, la crescita percentuale del verificarsi di cadute non è correlata unicamente ad un fattore demografico (i.e. all’età), ma anche ad una serie di fattori ambientali e personali, oltre che fisiologici.

L’incremento delle malattie croniche, l’uso di tranquillanti e/o antidepressivi (che tra gli effetti collaterali riportano anche vertigini e sonnolenza), le malattie neurologiche, quelle dell’apparato muscolo-scheletrico (come ad esempio l’osteoporosi), rappresentano tutte potenziali cause di un incremento nel rischio di caduta e di conseguenti lesioni.

Si tratta di aspetti che, tra l’altro, possono avere addirittura un peso maggiore sulla qualità della vita delle donne. È stato, inoltre, osservato che le lesioni da caduta costituiscono anche un grave onere, da un punto di vista economico, per il “Servizio Sanitario Nazionale“. La durata media dei ricoveri ospedalieri per fratture del femore di origine osteoporotica è la più lunga tra tutte le patologie acute.

L’influenza sulla salute psicologica

Anche l’aspetto emotivo-psicologico è un fattore rilevante, che può subentrare attraverso una “sindrome ansiosa post-caduta”. Questa sindrome spinge la persona a ridurre movimento ed attività in modo eccessivo proprio per la paura di cadere e ciò contribuisce alla riduzione della forza muscolare, favorendo una deambulazione anormale e un ulteriore aumento del rischio di caduta.

Inoltre, va anche considerato che la guarigione da una lesione, come per esempio può essere una frattura, è solitamente più lenta nelle persone anziane e ciò determina un maggiore rischio di cadute successive.

Una frattura importante a seguito di un incidente domestico spesso si può tradurre in una forma di disabilità e in severe ripercussioni psicologiche. Può accadere, infatti, che, a seguito della caduta, l’anziano subisca una perdita di sicurezza, che può essere causa a sua volta di un più rapido declino funzionale e di depressione.

L’importanza della prevenzione

Prevenire le cadute non significa solamente evitarle, o ridurne il numero, ma anche salvaguardare quanto più possibile l’autonomia e l’indipendenza dell’anziano, intervenendo in modo multifattoriale e attraverso un approccio medico di tipo valutativo e multidisciplinare.

La caduta accidentale connessa a pericoli presenti nell’ambiente domestico è tra le più diffuse; perciò, pensare ad una riprogettazione della casa a misura di anziano è, se possibile, senza dubbio il primo passo da adottare.

Per tutti coloro che mostrano precarietà nell’equilibrio, o nella camminata, sarebbe buona prassi sottoporsi a valutazione medica del sistema vestibolare, della forza muscolare degli arti inferiori, della sensibilità propriocettiva e della capacità visiva.

In questi casi, quindi, è importante rivolgersi, oltre che al proprio medico di base, anche ad altre figure, quali neurologo, cardiologo, fisiatra e fisioterapista.

Il fisioterapista è, infatti, quella figura sanitaria capace di contribuire a migliorare la deambulazione e l’equilibrio dei pazienti e a infondere loro nuova fiducia in se stessi dopo una caduta. Il fisioterapista può, inoltre, fornire suggerimenti su come evitare di cadere e può anche supervisionare l’allenamento e lo stretching, attenuando in modo significativo il rischio di caduta.

In conclusione, “invecchiare in saluteè un diritto di tutti e deve essere considerato un obiettivo delle attività di prevenzione utili al raggiungimento di una buona qualità della vita. La caduta in età senile interferisce con questo obiettivo e per tale motivo i pazienti anziani dovrebbero essere sottoposti a screening di routine per i fattori di rischio e affidarsi ad un programma di prevenzione delle cadute mirato e personalizzato.

“Mani che curano”: la chiropratica

Il corpo umano è un sistema molto complesso, basato su funzionamento e funzionalità calibrati (per natura) alla perfezione.

Nel corso della vita è normale, però, andare incontro a traumi, assumere posture errate, subire operazioni, oltre che dover anche fare i conti con altri tipi di fattori, come l’inquinamento ambientale, cibi addizionati artificialmente e stress emotivo, i quali generano disfunzioni che spesso si traducono in problemi riscontrabili in fastidi e dolori, come il mal di schiena.

Per affrontare e risolvere questo tipo di problematiche, senza dover ricorrere all’uso di farmaci, si può far riferimento all’aiuto di una professione sanitaria, basata sulla disciplina olistica, che si occupa della salute della persona nella sua interezza: la chiropratica.

Con il termine ”chiropratica” si intende una tipologia di medicina alternativa incentrata sulla manipolazione manuale della colonna vertebrale e sul benessere della persona, che trova il suo fondamento nell’equilibrio coesistente tra aspetto biochimico, strutturale e psicologico.

Quando la comunicazione tra sistema nervoso centrale (i.e. cervello e midollo spinale), muscoli e organi periferici funziona, i tre aspetti sopracitati lavorano in armonia e la persona è considerata essere in buona salute.

Una corretta struttura, allineamento e funzionalità della colonna vertebrale, quindi, sono necessari per il giusto funzionamento ed equilibrio dell’apparato neuro–muscolo-scheletrico ed è proprio su questo principio che si fonda la chiropratica.

Si calcola che, tra vita sedentaria e posture scorrette, l’80% della popolazione adulta soffra almeno una volta nella vita di lombalgia e cervicalgia e proprio per tale ragione, sempre più persone, oggigiorno, si affidano alle mani sapienti del chiropratico.

Chiropratica: un po’ di storia

Il termine “chiropratica” deriva dall’unione di due parole greche: “keir” e “praxis“, “mano” e “azione”. Di conseguenza, il significato letterale di chiropratica è “azione manuale“, o “azione con le mani“.

Secondo la definizione fornita dal Consiglio Generale di Chiropratica (General Chiropractic Council, o GCC), questa forma di medicina alternativa rappresenta “una professione sanitaria che ha interessi per la diagnosi, il trattamento e la prevenzione delle malattie meccaniche del sistema muscolo-scheletrico e per gli effetti che le suddette malattie hanno sulle funzioni del sistema nervoso e sullo stato di salute generale“.

Portata alla luce nel 1895 dal suo fondatore, il canadese Daniel David Palmer, la chiropratica ottenne i primi riconoscimenti da parte delle comunità mediche e da parte dell’OMS (Organizzazione Mondiale della Sanità) solo negli anni ’90. In Italia, il suo riconoscimento legale risale al 2007. Nel corso degli anni, la chiropratica è stata riconosciuta anche dalla medicina classica in molti paesi del mondo. Negli Stati Uniti, ad esempio, è una terapia rimborsata dal sistema sanitario pubblico.

Per Daniel David Palmer molte malattie e disturbi muscolo-scheletrici sono il frutto di disallineamenti della colonna vertebrale, che non consentono al flusso di “energia vitale”, insito all’interno del corpo e generatore di salute, di scorrere fluentemente nell’organismo.

Cosa fa il chiropratico?

Il dottore in chiropratica, utilizzando criteri basati sulla biomeccanica e sulla neurologia, attraverso tecniche manuali sofisticate, riesce ad individuare le disfunzioni primarie e, conseguentemente, ad agire ripristinando il giusto funzionamento della colonna vertebrale, dell’apparato muscolo scheletrico e del sistema nervoso.

Riconducendo i problemi strutturali del corpo a squilibri tra articolazioni e nervi, e in particolare a quelli che riguardano la colonna spinale, il chiropratico, tratta il disturbo agendo a livello della colonna, così da evitare che possa interferire con i nervi presenti, provocandone la sublussazione e dando luogo a vari sintomi, come ad esempio: mal di schiena, dolore alla cervicale, cefalea, dolori alle spalle e collo, parestesia agli arti, sciatalgie, disturbi del ciclo mestruale e diversi altri disagi.

Oltretutto la chiropratica non cura solo il benessere del corpo, ma anche quello della mente attenuando i disturbi legati alla depressione e all’ansia.

Prima visita e trattamento

La peculiarità del lavoro svolto dal chiropratico è rappresentata dalla cosiddetta “manovra di aggiustamento”, che, con il ripristino del corretto stato della colonna, conduce il corpo all’auto-guarigione. È proprio durante la manovra di aggiustamento che avviene il caratteristico “scrocchio“, detto “scroscio articolare”, provocato dalla improvvisa diminuzione della pressione intra articolare con annessa produzione di formazioni gassose all’interno del liquido sinoviale delle articolazioni.

Durante la prima visita il chiropratico fa una valutazione ortopedica, neurologica e funzionale del paziente per capire se è idoneo ad essere sottoposto ai trattamenti. Normalmente, le sedute si svolgono con cadenza settimanale per poi, lentamente, distanziarsi su archi temporali maggiori. Quando la situazione si è stabilizzata, è molto utile fare dei controlli regolari, per poter mantenere le correzioni nel corso del tempo e, soprattutto, per evitare una recidiva.

Accade, a volte, che dopo il primo trattamento i sintomi si possano acutizzare. È bene ricordare che ciò è assolutamente normale, poiché il corpo sta reagendo, passando per un periodo di transizione, prima di raggiungere l’equilibrio dovuto.

Come si diventa dottore in chiropratica?

La carriera di chiropratico dura da cinque a sei anni universitari, al termine dei quali si diventa “dottore in chiropratica”. Attualmente, il laureando italiano in chiropratica non ha altra alternativa che quella di frequentare una università straniera riconosciuta e pertanto deve dimostrare una buona conoscenza della lingua inglese.

La chiropratica è anche una pratica di prevenzione

Spesso ci si abitua ad uno status, pensando di stare bene, senza rendersi conto che si potrebbe stare ancora meglio.

Dovremmo sempre più spesso ricordare che il dolore è il fine di un processo molto complicato e che già sin dal primo segnale, seppur lieve, deve essere visto come un avvertimento da parte del corpo.

Va, infatti, sottolineato che le problematiche posso presentarsi anche molto prima della comparsa del dolore e perciò sarebbe opportuno considerare la chiropratica anche da punto di vista preventivo, ambito in cui risulta essere molto utile ed efficace.

Un controllo chiropratico periodico, anche in assenza di sintomatologia dolorosa, migliora l’assetto dell’apparato neuro-muscolo-scheletrico e fa sì che possano essere evitati disturbi fastidiosi, o dolorosi come il mal di schiena e ulteriori, spesso invalidanti, problemi che ne conseguono.

Doping: un fenomeno rischioso per la salute pubblica

Con il termine doping, come regolamentato dalla legge 376 del 14 dicembre 2000, si intende “la somministrazione o l’assunzione di farmaci o di sostanze biologicamente o farmacologicamente attive e l’adozione o la sottoposizione a pratiche mediche non giustificate da condizioni patologiche ed idonee a modificare le condizioni psicofisiche o biologiche dell’organismo al fine di alterare le prestazioni agonistiche degli atleti“.

La pratica del doping costituisce un inganno non solo verso gli avversari, ma anche verso se stessi. Sottoporre un fisico sano all’assunzione di farmaci e sostanze per il miglioramento della performance sportiva rappresenta un insulto alla propria salute.

Doping: rischi ed eccezioni

Numerosi studi dimostrano come l’assorbimento di sostanze quali anabolizzanti, stimolanti, o ormoni, possa compromettere il fisiologico funzionamento dell’organismo con effetti che, nella maggior parte dei casi, si manifestano solo nel lungo termine e che talvolta possono rivelarsi fatali.

Solo in presenza di condizioni patologiche certificate da un medico e verificata l’assenza di pericoli per la salute, all’atleta può essere consentita la partecipazione alla competizione sportiva, nonostante l’utilizzo di sostanze ritenute dopanti. Esclusivamente in casi come questo, il doping, rientrando in un quadro di trattamento terapeutico specifico, può essere considerato ammissibile nella pratica sportiva.

Doping: le origini

Potenzialmente coetaneo dello sport, il doping è un fenomeno presente già nell’antichità. Il termine deriva dalla parola inglese “dope, che, in principio, indicava una mistura di vino e tè assunta dagli schiavi americani per rimanere attivi e sostenere ore ed ore di duro ed estenuante lavoro.

Già Galeno descrisse nei suoi scritti le sostanze che gli atleti romani assumevano per migliorare la loro prestazione. A quanto pare, i gladiatori, prima di scendere nell’arena, assumevano sostanze “dopanti”: perlopiù preparati a base di frutta fermentata a elevato contenuto alcolico (allo scopo di conferire all’atleta uno stato di euforia e ridurre la paura).

Il doping in Italia e l’utilizzo in ambito sportivo

La storia dello sport italiano, purtroppo, non esula da casi in cui atleti di fama internazionale hanno fatto uso di sostanze vietate, al fine di aumentare le proprie prestazioni fisiche.

Nell’anno 2019 sono stati effettuati controlli antidoping su 325 manifestazioni sportive, per un totale di 1.245 atleti sottoposti a test, di cui 839 maschi (67,4%) e 406 femmine (32,6%) con un’età media di 27,5 anni.

Di questi 1.245 atleti sottoposti al controllo, sono 86 quelli che sono stati esaminati e, complessivamente, 33 quelli che sono risultati positivi al doping (23 maschi, 10 femmine).

Non è stata rilevata una significativa differenza di genere, ma gli atleti di sesso maschile hanno registrato una netta prevalenza (28,1%) nella positività ai cannabinoidi, mentre le atlete (27,3%) sono risultate positive ad agenti anabolizzanti, a diuretici e ad agenti mascheranti.

Dall’ultima rilevazione del 2021 delle Federazioni Sportive Nazionali (FSN), delle Discipline Sportive Associate (DSA) e degli Enti di Promozione Sportiva (EPS), il 3,5% degli atleti sottoposti a controlli è risultato positivo ai test antidoping, segnando un incremento nell’uso di agenti dopanti rispetto al 2018 e al 2019, quando i positivi erano il 2,2%, e il 2,7%, rispettivamente.

Inoltre, è importante ricordare che questi numeri potrebbero non disegnare un quadro effettivamente esaustivo della diffusione dell’utilizzo di sostanze dopanti, poiché gli amatori tendono ad essere esclusi dalle rilevazioni, non partecipando a competizioni agonistiche e non essendo necessariamente iscritti a federazioni o associazioni.

Doping amatoriale: un allarme da non sottostimare

Il doping amatoriale, anche detto doping della domenica” risulta purtroppo essere una pratica pericolosamente diffusa e dilagante.

Traboccata dallo sport a livello professionistico fino ai centri fitness, il doping è divenuta un’insana abitudine anche per tanti frequentatori di palestre. Questo tipo di realtà, purtroppo, tende ad emergere solo a seguito di fatti di cronaca più o meno clamorosi, essendone il monitoraggio raro al di fuori dei contesti professionistici.

È un’attività dai rischi sottostimati legati anche alle modalità di reperimento delle sostanze: gli utilizzatori ricorrono spesso all’acquisto online, od attraverso canali alternativi, fatto che comporta una pressoché totale assenza di particolari accertamenti relativi alla qualità del prodotto.

Secondo alcune ricerche, circa l’80% dei “dopati della porta accanto” hanno un’età tra i 20 e i 30 anni, età che, al di fuori della percentuale indicata, può scendere fino ai 15 anni. Casi, questi ultimi, in cui il doping può comportare rischi ancor maggiori, incrementando le potenziali ripercussioni durante lo sviluppo e più a lungo termine.

È importante accendere i riflettori sul “doping della domenica”: un fenomeno sempre più praticato, parallelamente all’aumentata diffusione della vigoressia, un disturbo alimentare in cui l’attenzione ossessiva non è solamente focalizzata sulla perdita di peso, ma anche sull’ottenere un fisico scolpito nei minimi dettagli.

Doping: le sostanze utilizzate e i “side effects

In generale, le sostanze dopanti più diffuse sono:

  • Stimolanti per migliorare le prestazioni sportive;
  • Ormoni per aumentare la massa muscolare;
  • Insulina, in quanto sostanza anabolizzante.

Si tratta di farmaci molto pericolosi, poiché in grado di aumentare il rischio di malattie cardiovascolari, tumori epatici, stress, sbalzi di umore, patologie dell’apparato riproduttivo, nonché della disfunzione erettile precoce.

Un’altra pratica altrettanto pericolosa è l’autoemotrasfusione, ovvero il prelievo del proprio sangue e la sua reintroduzione nell’organismo, dopo l’immissione di componenti dopanti.

Regolamentazione e controlli

Il ricorso al doping è un’infrazione sia dell’etica sportiva, sia della scienza medica. Vi sono, infatti, regolamenti sportivi che lo vietano e lo disciplinano, obbligando gli atleti a sottoporsi ai controlli antidoping attraverso l’analisi delle urine e del sangue. Gli atleti che risultano positivi alle analisi vengono squalificati per un periodo più, o meno lungo e, in casi di ricaduta, vengono squalificati a vita.

L’Agenzia Mondiale Anti-Doping, oltre ad essere responsabile dei programmi internazionali efficaci nelle competizioni per lo screening degli atleti, si occupa dell’aggiornamento costante di un elenco delle sostanze e dei metodi che sono incompatibili con gli ideali dello sport e che dovrebbero essere vietati nella competizione atletica.

L’importanza di prevenzione e informazione

Il doping è un serio problema per la salute pubblica e per lo sport, ma, nonostante ciò, c’è ancora poca consapevolezza dei rischi a cui si va incontro. La presenza di una componente “fai da te” importante, inoltre, rende questo fenomeno ancor più pericoloso per la salute e la vita stessa. È necessario chiarire quanto stimolanti ed anabolizzanti possano essere nocivi per l’organismo, comportando un prezzo da pagare molto elevato e che, spesso, si manifesta a distanza di tempo, rendendo pressoché impossibile un recupero tempestivo ed efficace.

Prevenzione, formazione ed informazione devono essere promosse a più livelli: dall’ambito familiare e scolastico, a quello delle società sportive e del Servizio Sanitario Nazionale.

Giornata mondiale della salute: tra equità e prevenzione

“Salute per tutti” (“Health For All”), è il tema scelto per la Giornata mondiale della salute 2023 che ricorre il 7 aprile di ogni anno, data contigua alla Giornata mondiale dell’attività fisica che si celebra il 6 aprile (sostenuta dall’Organizzazione delle Nazioni Unite). Due date correlate per evidenziare l’importanza del tema volto al benessere a 360 gradi dell’individuo.

Essendo di fondamentale importanza per una vita degna di essere vissuta a cospetto della collettività a cui apparteniamo, essere in salute non rappresenta solo un fatto personale, ma anche sociale. Difatti, la salute di ognuno di noi ha un impatto diretto sulla società, contribuendo allo status di salute collettivo.

Una giornata per l’abbattimento delle barriere sanitarie

Istituita nel 1948 dall’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS), che quest’anno celebra 75 anni di miglioramento della salute pubblica, questa giornata mette in evidenza l’importanza di affrontare ed eliminare le disuguaglianze e richiama l’attenzione sulla necessità di una visione più ampia del concetto di salute.

L’OMS ha sollecitato nella sua costituzione la salute come diritto fondamentale di ogni essere umano oltre che come fondamento della pace e della sicurezza. Con l’istituzione di questo giorno si vuole anche dare un’opportunità per affrontare le sfide sanitarie di oggi e di domani. Si vuole, inoltre, mantenere il mondo sicuro e abbattere le barriere geografiche, di modo che tutti, ovunque, possano godere del diritto dei più alti standard di salute e benessere possibili.

La Dichiarazione Universale dei Diritti Umani del 1948 menziona la salute come elemento essenziale per un tenore di vita adeguato; diritto altresì riconosciuto come umano nel Patto internazionale sui diritti economici, sociali e culturali del 1966. Si tratta perciò, di un diritto fondamentale per tutti gli Stati, i quali non si risparmiano nel difenderlo anche attraverso dichiarazioni internazionali, leggi e politiche nazionali.

Come stabilito dall’Art. 32 della Costituzione Italiana, l’OMS vede il diritto alla salute come un diritto che non si limiti alla sola assenza di malattia, ma che comprenda anche il benessere fisico, mentale e sociale. Ha quindi una rilevanza inestimabile ed è una componente necessaria per poter condurre una vita dignitosa.

La Giornata mondiale della salute e il gap di accessibilità tra paesi ricchi e poveri

Nonostante il susseguirsi nel corso del tempo di leggi e di sviluppi, purtroppo le disuguaglianze sanitarie continuano ad esistere e, oltre che incentivare il divario di equità, minacciano anche i progressi compiuti fino ad oggi. Questa giornata dedicata alla salute costituisce anche una strategia per indirizzare una maggiore attenzione verso i gruppi più vulnerabili ed emarginati.

Lo scoppio della pandemia da Covid-19 ha rimarcato ancora una volta la crepa esistente fra i diversi paesi del mondo. Alcuni hanno dimostrato di disporre di risorse economiche ed istituzioni in grado di resistere alle ondate del contagio, mentre in altri la diffusione del virus ha contribuito ad inasprire ulteriormente le condizioni di povertà della popolazione.

Esistono, quindi, tutt’oggi, delle situazioni in cui garantire il rispetto del diritto alla salute è ancora difficoltoso. Basti pensare all’approvvigionamento dei vaccini: i paesi ricchi hanno potuto ottenerne in quantità adeguata rispetto alla densità della popolazione, a differenza dei paesi più poveri ed instabili che non godono ancora di sistemi sanitari efficienti.

Un esempio ci viene fornito da realtà come l’Africa subsahariana e l’Asia meridionale, che risultano essere le più colpite da questo problema. Si tratta di paesi che, da soli, contano la metà dei decessi infantili nel mondo: sono oltre 13 milioni i bambini di età inferiore ai 5 anni che ogni anno muoiono per malattie che avrebbero potuto essere prevenute, o curate.

La prevenzione: un diritto ed un dovere fondamentale per il bene collettivo

La medicina è da sempre legata alla prevenzione. Già Ippocrate (460 a.C. – 377 a.C.), il padre della medicina, individuò in alcune abitudini alimentari il fondamento per mantenersi in buona salute.

Condurre uno stile di vita sano è imprescindibile dall’essere in salute. Se si vuole stare bene la parola chiave è cooperare. Se una persona contamina l’ambiente che frequenta, la probabilità che anche gli altri si ammalino aumenta e più persone si ammalano, più basse potrebbero essere le opportunità di cura che vengono garantite. La salute, inoltre, è al contempo locale e globale: per stare bene a livello globale dobbiamo assicurarci un buon livello di salute locale.

Per poter raggiungere tale obiettivo l’azione da adottare è anzitutto quella della prevenzione, che deve essere uno scenario “vivo”, un modo radicato di pensare, di agire e di fare salute e non solo un pensiero, o un concetto di cui si sente parlare.

Tantissimi sono gli studi scientifici che hanno dimostrato l’importanza della prevenzione per ridurre l’incidenza delle malattie e la mortalità. Quasi l’80% dei casi di malattie cardiache ed ictus potrebbero essere prevenuti. Anche malattie come il diabete di tipo 2, alcuni tipi di tumori e di demenze si possono prevenire con una diagnosi precoce.

Salute, prevenzione ed informazione: un progetto più ampio

In questo contesto, l’OMS e l’Istituto Superiore di Sanità (ISS) mirano a potenziare le capacità delle persone di fare scelte responsabili per il proprio benessere. Indire la Giornata mondiale della salute è la fase iniziale di un progetto più ampio volto all’informazione sull’importanza non solo della salute, ma anche del fare periodicamente prevenzione, per far sì che maturi in ognuno di noi uno status di consapevolezza.

All’interno di questo progetto, la prevenzione e la promozione della salute vengono veicolate non solo attraverso l’importanza della diagnosi precoce ed il ruolo fondamentale delle vaccinazioni, ma anche attraverso una consapevolezza di quelli che sono i fattori di rischio comportamentali, che possono essere modificati: dal contrasto alle disuguaglianze all’azione sinergica di vari settori a livello sociale, economico ed ambientale. Una prevenzione e una promozione della salute in grado di abbracciare il concetto dello star bene ad ampio raggio, garantendo, così, buone condizioni di vita per tutti.