Alluce valgo: la nostra salute parte dal piede

 

Indice

  1. La struttura ossea del piede

  2. Alluce valgo: cos’è?

  3. Alluce valgo: cause, sintomi e diagnosi

  4. Alluce valgo e gravidanza

  5. L’approccio del fisioterapista

  6. La nostra salute parte dal piede

L’alluce valgo è una patologia che affligge numerose persone, soprattutto donne, e che può comportare una sintomatologia dolorosa, dovuta ad alterazioni della struttura ossea interna del piede, le quali sono anche causa di deformazioni estetiche dell’arto stesso.

Tra i principali rimedi troviamo la chirurgia, ma anche trattamenti non chirurgici, di tipo conservativo e riabilitativo, per cui la fisioterapia può rappresentare un valido alleato.

La struttura ossea del piede

Il piede è quella struttura anatomica posta all’estremità dei nostri arti inferiori ed è composto da numerose ossa, legamenti, muscoli, articolazioni e tendini. Esso rappresenta una componente fondamentale per il supporto del corpo e l’elemento anatomico più importante per espletare questa funzione è proprio la sua struttura scheletrica.

Le ossa del tarso, del metatarso e le falangi sono i principali elementi costituenti la struttura scheletrica del piede, che contribuiscono in maniera significativa alle funzioni di sostegno, equilibrio e deambulazione del corpo umano.

Le conseguenze derivanti dal sottovalutare una problematica ai piedi possono essere svariate e di diversa entità: un piede dolorante può ridurre il movimento e portare ad un aumento di peso, oppure può causare l’assunzione di una postura scorretta, aumentando il rischio di cadute e, conseguentemente, di fratture.

Tra le condizioni mediche che possono colpire il piede troviamo, quindi: fratture ossee, distorsioni, deformità, malattie delle unghie, calli, duroni, tilomi, forme di artrite, neuroma di Morton e… l’alluce valgo.

Alluce valgo: cos’è?

Il termine “valgo” deriva dal latino e significa “allontanato dalla linea mediana del corpo”. L’alluce valgo, infatti, si forma quando l’osso al quale è collegato si sposta dalla sua posizione naturale per inclinarsi verso l’interno e il primo osso metatarsale del piede, invece, sporge invece verso l’esterno.

Questo inclinamento determina un gonfiore localizzato e doloroso alla base dell’alluce (la cosiddetta “cipolla”), con annessa infiammazione della borsa vicina (i.e. borsite) e innescando un processo degenerativo delle articolazioni (i.e. artrosi). Inoltre, quando questo gonfiore è molto pronunciato, può causare una deviazione della parte anteriore del piede dal suo asse, causando talvolta un’alterazione della postura e contribuendo così ad una serie di ripercussioni su altre parti del corpo, quali il ginocchio, il bacino e la colonna vertebrale.

Una patologia diffusa e, tipicamente, femminile

Come evidenziato da alcune statistiche, l’alluce valgo è una patologia che in Italia colpisce il 23% della popolazione tra i 18 e i 65 anni.

È una deformazione che tende a comparire in età matura, o senile, e che riguarda soprattutto le donne. Difatti, secondo i dati della Società Italiana di Ortopedia e Traumatologia (SIOT), il 40% delle donne italiane ne soffre con un’incidenza di ben otto volte superiore rispetto agli uomini.

Le ragioni che possono portare alla comparsa di questo disturbo sono molteplici e vanno da fattori ereditari sino all’utilizzo di scarpe inadeguate.

La causa dell’insorgere di questa malattia, nel 90% dei casi è di natura biomeccanica, ma solitamente l’origine vera e propria è nella parte posteriore del piede, ovvero nell’articolazione sottoastragalica del retropiede.

Alluce valgo: cause, sintomi e diagnosi

Altre cause, non di natura congenita, ma acquisita, che possono comportare la comparsa dell’alluce valgo, sono, ad esempio: l’utilizzo di calzature non adeguate, lesioni a carico del piede, alterazioni della postura, problemi di tono muscolare, malattie osteoarticolari, sovrappeso, alcuni tipi di artrite e malattie neuro-muscolari e del tessuto connettivo. E, se non curato, in alcuni casi, l’alluce valgo può anche indurre a complicazioni come l’artrosi dell’articolazione metatarso-falangea.

Seppur l’alluce valgo possa presentarsi come un semplice difetto estetico, la cosiddetta “cipolla”, può invece risultare molto dolorosa a causa dell’attrito con la calzatura. Inoltre, la deviazione dell’alluce può coinvolgere anche il secondo dito e le altre dita del piede, causando ulteriori deformità come, ad esempio, le dita a martello e/o l’accavallamento delle dita.

Sintomatologia e diagnosi

La sintomatologia può variare da persona a persona. Per alcuni pazienti il dolore si presenta nel secondo dito, piuttosto che nell’alluce e per alcuni è di tipo violento, pur senza avere significative deformità. In generale, comunque, l’alluce valgo è caratterizzato dalla presenza di diversi sintomi.

La diagnosi viene effettuata attraverso una visita medica, atta a valutare attentamente conformazione e capacità di movimento dell’alluce, col fine di indicare il tipo di rimedio più adatto al caso specifico.

Solitamente, la soluzione chirurgica è quella consigliata per correggere la deformità. Ove possibile, però, viene suggerito un tipo di trattamento non chirurgico, ma conservativo, che può essere efficace per intervenire sulla sintomatologia dolorosa, migliorando la vita quotidiana, ma senza correggere la deformità.

I rimedi non chirurgici includono:

  • L’assunzione di farmaci;
  • Trattamenti fisioterapici e la pratica di alcuni esercizi appositi per alleviare il dolore, oltre che per migliorare la funzionalità dell’articolazione;
  • L’uso di plantari, che aiutano a scaricare il peso in maniera equilibrata;
  • L’utilizzo di tutori e calzature comode a pianta larga.

Alluce valgo e gravidanza

Un fattore tipicamente femminile, non sempre conosciuto e che spesso può indurre a questo tipo di problematica è la gravidanza.

Durante la gestazione la donna va incontro ad un aumento di peso consistente, che spesso favorisce l’assunzione di una postura errata. Con il procedere della gravidanza, infatti, l’inclinazione del bacino cambia, portando ad una variazione anche posturale.

Lo spostamento del baricentro coinvolge tutto l’assetto corporeo, la camminata e, quindi, anche i piedi. In questa fase, la donna va, inoltre, incontro a mutamenti di tipo ormonale. Alcuni di essi, e più precisamente quelli relativi agli estrogeni e alla relaxina, hanno tra le loro funzioni quella di rendere i legamenti più elastici (rendendo elastico il tessuto di cui essi sono composti), i quali tendono così ad allargarsi e a subire il cedimento della volta plantare trasversale, favorendo l’insorgenza dell’alluce valgo, o il peggioramento di quello già esistente.

L’approccio del fisioterapista

La fisioterapia può giocare un ruolo chiave nella risoluzione dell’alluce valgo, sia nella fase conservativa, che in seguito ad un intervento chirurgico.

Abitualmente, il trattamento dell’alluce valgo inizia con la scelta di calzature specifiche. La figura del fisioterapista è in grado di consigliare le scarpe migliori per la condizione del paziente, ma può anche valutare l’utilizzo di dispositivi appositi, come i distanziatori delle dita, o speciali cuscinetti.

Le modifiche alle calzature e l’uso di tutori possono consentire di riprendere praticamente sin da subito la normale camminata e il fisioterapista può, inoltre, suggerire lo svolgimento di attività adeguate, che consentano un recupero ed un mantenimento efficaci.

Una delle tecniche utilizzate dal fisioterapista è la “mobilizzazione delle articolazioni della punta del piede”, in grado di aiutare i tessuti ad allungarsi dolcemente e le articolazioni a muoversi con normalità.

Il fisioterapista, se necessario, può prescrivere alcuni esercizi di allungamento e rinforzo del piede per combattere la progressione della deformità e/o esercizi per rafforzare i muscoli atti a sollevare l’arco plantare e migliorare la propriocezione.

Alluce valgo: la fisioterapia preventiva e riabilitativa

L’approccio fisioterapico può essere di due tipi: preventivo e riabilitativo.

La fisioterapia preventiva ha come obiettivo quello di limitare l’aggravarsi della comparsa della patologia. Un intervento fisioterapico tempestivo che funge da “educatore” può ripristinare la corretta anatomia del dito e del piede. Il fisioterapista, infatti, va ad istruire il paziente sulle abitudini corrette da adottare, sugli esercizi da svolgere in autonomia e su quali comportamenti evitare.

La fisioterapia riabilitativa, d’altro canto, si mette in atto quando è necessario rendere di nuovo funzionale la struttura danneggiata e viene eseguita nel momento in cui si presentano dolore, borsite, infiammazione, eritema cutaneo, mobilità ridotta.
Infine, allo scopo di ridurre la sintomatologia, il fisioterapista può anche affidarsi a terapie manuali e fisiche specifiche come: la Tecarterapia, la laserterapia e gli ultrasuoni.

La fisioterapia post-chirurgia

Attraverso l’operazione chirurgica si interviene sulla deformità e il recupero della biomeccanica del piede, riportando il più possibile la struttura del piede ai livelli fisiologici iniziali.

Questo, però richiede un periodo di immobilità a seguito del quale è opportuno effettuare un ciclo fisioterapico, al fine di riprendere la mobilità del dito, evitare la formazione di aderenze cicatriziali e recuperare la deambulazione con esercizi di stretching e di rinforzo.

La nostra salute parte dal piede

Essendo il piede considerato l’estremità ultima del nostro corpo, potrebbe risultare alquanto paradossale pensare che la nostra salute possa partire proprio dal piede stesso. Tuttavia, è proprio questa estremità a farsi carico del peso corporeo e a permetterci, fisicamente, il movimento, mantenendo l’equilibrio e agendo sulla circolazione venosa e linfatica.

Basti pensare che la nostra intera struttura scheletrica viene sostenuta dai tre punti fondamentali del piede: il calcagno, la base dell’alluce e il mignolo; ed è per tale ragione che prendersi cura della salute dei piedi è un’abitudine sana ed essenziale.

Rischio caduta nell’anziano: la vecchiaia è un’età da preservare

Invecchiare è uno degli obiettivi di una società che vuole essere sana e, di conseguenza, longeva. Una tra le più diffuse problematiche per l’anziano e la qualità della vita nella terza età è rappresentata dal rischio di caduta e le conseguenze che ne possono derivare.

La salute degli anziani è un argomento di rilievo che ricopre sempre maggiore importanza all’interno di una società che sta vivendo una sorta di rivoluzione demografica. Si considera, infatti, che nell’anno 2000 al mondo c’erano circa 550/600 milioni di persone con più di 60 anni di età e, secondo alcuni studi, nel 2025 ce ne saranno 1,2 miliardi, fino ad arrivare a circa 2 miliardi di persone nel 2050. Motivo più che sufficiente per impegnarsi a preservare e custodire l’anzianità, quale uno dei principi cardine della collettività.

La “elderly”, ovvero la “terza età”, è il periodo ultimo del ciclo vitale umano: è quel momento in cui, tendenzialmente, le persone hanno raggiunto la cosiddetta “senescenza”, ovvero il processo organico di invecchiamento che limita le capacità rigenerative dell’organismo umano. È proprio a partire da questa età che il corpo e la mente divengono più sensibili a disagi, sindromi, lesioni e malattie.

La caduta nell’anziano e le conseguenze per la salute fisica e psicologica

Tra le problematiche di maggiore rilevanza per gli anziani troviamo una progressiva instabilità nell’equilibrio e, quindi, un maggiore rischio di cadute e le conseguenze che ne possono derivare. Questi fattori, difatti, sono all’origine di tassi di mortalità e morbilità elevati. Si tratta di una sindrome geriatrica che limita la mobilità e favorisce un ingresso prematuro in residenze assistite.

In Italia, nel 2002 è stato stimato che il 28,6% degli over 65 anni è soggetto a caduta nell’arco di un anno e il 60% delle cadute si verificano in casa, dove gli ambienti a maggior rischio sono: la cucina (25%), la camera da letto (22%), le scale interne ed esterne (20%) e il bagno (13%).

Le cadute possono avere conseguenze immediate, o tardive che tendono ad essere più severe con l’avanzare dell’età. Oltre ad un leggero infortunio, come un livido, uno strappo muscolare, o una slogatura, le cadute possono provocare lesioni più gravi, come fratture ossee, tagli profondi e persino danni agli organi. Le fratture più frequenti interessano il femore, il braccio, il polso e il bacino.

Il trauma più temuto ed incisivo è sicuramente quello relativo alla frattura del femore, la quale interessa ogni anno 90mila persone. Per 35mila di queste l’accaduto degenera in invalidità, con un’incidenza che è, inoltre, in crescita.

Gli esiti di una frattura femorale comportano anche un rischio di mortalità. Tale rischio è stimato in una misura di circa il 5% durante la fase acuta e il 15-25% entro un anno, mentre solo il 30-40% riacquista un’autonomia compatibile con le attività della vita quotidiana precedenti al trauma.

La caduta nell’anziano: un problema anche sociale ed economico

Il problema delle cadute nella popolazione anziana non è semplicemente legato all’elevata incidenza del fatto in sé, ma si tratta, piuttosto, di un insieme di fattori che ne facilitano il decorso degenerativo.

Difatti, secondo i dati raccolti dallo studio “Health and Retirement”, condotto per conto del “National Institute of Aging statunitense, la crescita percentuale del verificarsi di cadute non è correlata unicamente ad un fattore demografico (i.e. all’età), ma anche ad una serie di fattori ambientali e personali, oltre che fisiologici.

L’incremento delle malattie croniche, l’uso di tranquillanti e/o antidepressivi (che tra gli effetti collaterali riportano anche vertigini e sonnolenza), le malattie neurologiche, quelle dell’apparato muscolo-scheletrico (come ad esempio l’osteoporosi), rappresentano tutte potenziali cause di un incremento nel rischio di caduta e di conseguenti lesioni.

Si tratta di aspetti che, tra l’altro, possono avere addirittura un peso maggiore sulla qualità della vita delle donne. È stato, inoltre, osservato che le lesioni da caduta costituiscono anche un grave onere, da un punto di vista economico, per il “Servizio Sanitario Nazionale“. La durata media dei ricoveri ospedalieri per fratture del femore di origine osteoporotica è la più lunga tra tutte le patologie acute.

L’influenza sulla salute psicologica

Anche l’aspetto emotivo-psicologico è un fattore rilevante, che può subentrare attraverso una “sindrome ansiosa post-caduta”. Questa sindrome spinge la persona a ridurre movimento ed attività in modo eccessivo proprio per la paura di cadere e ciò contribuisce alla riduzione della forza muscolare, favorendo una deambulazione anormale e un ulteriore aumento del rischio di caduta.

Inoltre, va anche considerato che la guarigione da una lesione, come per esempio può essere una frattura, è solitamente più lenta nelle persone anziane e ciò determina un maggiore rischio di cadute successive.

Una frattura importante a seguito di un incidente domestico spesso si può tradurre in una forma di disabilità e in severe ripercussioni psicologiche. Può accadere, infatti, che, a seguito della caduta, l’anziano subisca una perdita di sicurezza, che può essere causa a sua volta di un più rapido declino funzionale e di depressione.

L’importanza della prevenzione

Prevenire le cadute non significa solamente evitarle, o ridurne il numero, ma anche salvaguardare quanto più possibile l’autonomia e l’indipendenza dell’anziano, intervenendo in modo multifattoriale e attraverso un approccio medico di tipo valutativo e multidisciplinare.

La caduta accidentale connessa a pericoli presenti nell’ambiente domestico è tra le più diffuse; perciò, pensare ad una riprogettazione della casa a misura di anziano è, se possibile, senza dubbio il primo passo da adottare.

Per tutti coloro che mostrano precarietà nell’equilibrio, o nella camminata, sarebbe buona prassi sottoporsi a valutazione medica del sistema vestibolare, della forza muscolare degli arti inferiori, della sensibilità propriocettiva e della capacità visiva.

In questi casi, quindi, è importante rivolgersi, oltre che al proprio medico di base, anche ad altre figure, quali neurologo, cardiologo, fisiatra e fisioterapista.

Il fisioterapista è, infatti, quella figura sanitaria capace di contribuire a migliorare la deambulazione e l’equilibrio dei pazienti e a infondere loro nuova fiducia in se stessi dopo una caduta. Il fisioterapista può, inoltre, fornire suggerimenti su come evitare di cadere e può anche supervisionare l’allenamento e lo stretching, attenuando in modo significativo il rischio di caduta.

In conclusione, “invecchiare in saluteè un diritto di tutti e deve essere considerato un obiettivo delle attività di prevenzione utili al raggiungimento di una buona qualità della vita. La caduta in età senile interferisce con questo obiettivo e per tale motivo i pazienti anziani dovrebbero essere sottoposti a screening di routine per i fattori di rischio e affidarsi ad un programma di prevenzione delle cadute mirato e personalizzato.