Scoliosi idiopatica: disturbi e trattamenti nel bambino

Indice

  1. La scoliosi idiopatica

  2. Gli organi a rischio nella scoliosi idiopatica

  3. Il trattamento della scoliosi infantile

  4. Conclusioni

La scoliosi idiopatica è una patologia a carico della colonna vertebrale che si manifesta in età pediatrica.

La nostra colonna vertebrale non è “dritta”, seppur possa sembrarlo. Osservandola lateralmente ci si accorge che, in realtà, è curvilinea, simile ad una “S” molto allungata. La colonna vertebrale è, quindi, naturalmente “curva”.

Si parla di scoliosi quando la colonna vertebrale vista posteriormente (anziché lateralmente), non appare dritta, ma mostra una maggiore sporgenza di una delle due metà del torace.

In presenza di scoliosi, le vertebre, invece di essere allineate e appoggiate l’una sull’altra, sono ruotate verso destra, o verso sinistra.

La scoliosi idiopatica

Clinicamente, il termine “scoliosi” indica una curva patologica della colonna vertebrale, accompagnata da una rotazione delle vertebre. Nella sua forma infantile viene detta “idiopatica”, in quanto non se ne conosce la causa.

Si parla di scoliosi idiopatica quando viene diagnosticata per la prima volta tra la nascita e i 3 anni di età. Si tratta di una patologia che solitamente si risolve spontaneamente, anche se vi sono rari casi in cui può progredire fino a raggiungere livelli di deformità piuttosto gravi.

Incidenza

I dati mostrano che negli Stati Uniti l’incidenza della scoliosi infantile sulla popolazione sia del 2-3%, in Gran Bretagna tra il 2% e il 4% e in Italia tra lo 0,4 e il 4%. Le scoliosi che si presentano in forme leggere, o moderate, colpiscono maggiormente la popolazione femminile, mentre le forme più severe della patologia, che sono molto rare, tendono a colpire soprattutto i maschi.

La maggior parte dei bambini che sviluppano curve anomale della colonna vertebrale lo fanno nei primi sei mesi di vita. Pur trattandosi di una condizione rara che rappresenta meno dell’1% di tutti i casi di scoliosi, quella infantile è una delle forme più gravi accertate in ortopedia pediatrica.

La scoliosi idiopatica ha una velocità di peggioramento maggiore rispetto a quella adolescenziale, in quanto è direttamente proporzionale alla velocità della crescita. I bambini che sviluppano la scoliosi prima dei 5 anni di età hanno più probabilità di avere anomalie cardiopolmonari nell’infanzia.

Cause

Nonostante la causa alla base dell’insorgenza della scoliosi infantile sia sconosciuta, vi sono tuttavia alcune teorie avvalorate da diversi studi scientifici.

Oltre alla teoria di tipo genetico, esiste una teoria, supportata da dati epidemiologici, la quale ipotizza che la scoliosi potrebbe derivare da una compressione della colonna vertebrale durante la crescita fetale a causa di pressioni esercitate dalle pareti dell’utero su un lato del corpo del feto.

Nei neonati con scoliosi, infatti, vi sono numeri più elevati di plagiocefalia, un leggero appiattimento di un lato della testa, e di displasia dell’anca che si presenta sullo stesso lato della curva scoliotica della colonna.

Diagnosi

Solitamente una visita pediatrica rileva la scoliosi infantile entro i primi sei mesi di vita di un bambino. Generalmente, la patologia si presenta con una singola curva toracica a sinistra, ma è anche possibile che la curvatura interessi sia la zona toracica, che lombare.

A seguito di un sospetto di scoliosi, vengono prescritti ulteriori accertamenti, come esami:

  • Neurologici;
  • Della testa;
  • Della schiena;
  • Delle estremità;

per verificare la possibile presenza di plagiocefalia e altre anomalie.

Gli organi a rischio nella scoliosi idiopatica

In caso di malformazioni molto gravi dovute alla scoliosi, il primo organo a risentirne è il polmone: non trovando spazio a sufficienza per svilupparsi correttamente, può comportare problemi di natura respiratoria.

La crescita incide sul peggioramento della malformazione della colonna, per tale ragione i bambini con scoliosi ad esordio precoce sono più a rischio. Lo spazio a disposizione per l’incremento del volume dei polmoni risulta ridotto e ciò può causare una significativa compromissione della normale respirazione.

Un altro organo a rischio in presenza di questa malattia è il midollo spinale. Anche se sono rari casi in cui la gravità della curva della colonna possa effettivamente determinare una compressione del midollo spinale, se ciò avviene, può causare problemi neurologici difficilmente, o, addirittura, non curabili.

Un altro aspetto da non sottovalutare sono la deambulazione compromessa e le limitazioni che da essa ne derivano, le quali possono avere risvolti negativi anche sullo sviluppo psicologico del bambino.

Il trattamento della scoliosi infantile

Il trattamento della scoliosi infantile prevede l’osservazione, l’ausilio del corsetto, la fisioterapia, oppure la chirurgia.

La probabilità di guarigione spontanea della scoliosi infantile è abbastanza elevata e proprio per questo l’osservazione rimane il primo metodo di trattamento.

Tuttavia, in caso di progressione della malformazione della colonna vertebrale con angolo di Cobb superiore a 20-25°, viene indicato il trattamento ortesico, ovvero l’utilizzo di un busto rigido.

Le scoliosi infantili possono, in alcuni casi, peggiorare nonostante l’uso dei busti correttivi e arrivare a deformità che richiedono un trattamento chirurgico.

La fisioterapia

Il trattamento fisioterapico può contribuire a contenere la deformità nei bambini.

La modalità di trattamento varia in base al tipo di scoliosi, alle conseguenze associate, all’angolo di Cobb, all’età del paziente, agli altri eventuali trattamenti attuati e alla tipologia di evoluzione della deformità.

La gestione della scoliosi infantile è complessa sia nei suoi meccanismi fisiopatologici, che nei suoi fattori evolutivi.

L’efficacia della sola fisioterapia nel ridurre la progressività dell’angolo di Cobb è controversa, nonostante alcuni panorami mostrino risultati positivi.

Gli esercizi risultano comunque essere efficaci nella riduzione degli effetti secondari della scoliosi infantile, come i disturbi dell’equilibrio, i disallineamenti posturali e l’asimmetria muscolare. Inoltre, l’associazione tra fisioterapia e trattamento con corsetto risulta in una maggiore efficacia della terapia rispetto al trattamento con solo corsetto.

La chiropratica

Attraverso la manipolazione vertebrale, tipica dell’approccio chiropratico, si può migliorare la mobilità di quelle aree della colonna divenute rigide per via delle curvature scoliotiche.

Il chiropratico, oltre che poter utilizzare tecniche terapeutiche manuali per “ammorbidire” l’area, può integrare anche degli esercizi posturali con lo scopo di alleviare significativamente i sintomi percepiti.

Il trattamento osteopatico

Durante la visita osteopatica il paziente scoliotico viene analizzato in maniera statica e dinamica attraverso movimenti e piegamenti. Valutazioni utili al fine di verificare la funzionalità di muscoli, legamenti e la gravità delle asimmetrie.

Da un punto di vista osteopatico, questa patologia deriverebbe principalmente da una compressione della colonna vertebrale tra la regione cervicale e quella sacrale e, pertanto, il compito dell’osteopata è quello di aumentare la mobilità della colonna vertebrale, ripristinando l’equilibrio muscolare e mobilizzando il bacino.

Conclusioni

È importante ricordarsi sempre che la colonna vertebrale ci sostiene per l’intero corso della nostra la vita.

Sottovalutare alterazioni e deformità posturali nelle delicate fasi evolutive dell’età pediatrica potrebbe avere conseguenze dirette sul bambino di oggi e l’adulto di domani.

“Mani che curano”: la chiropratica

Il corpo umano è un sistema molto complesso, basato su funzionamento e funzionalità calibrati (per natura) alla perfezione.

Nel corso della vita è normale, però, andare incontro a traumi, assumere posture errate, subire operazioni, oltre che dover anche fare i conti con altri tipi di fattori, come l’inquinamento ambientale, cibi addizionati artificialmente e stress emotivo, i quali generano disfunzioni che spesso si traducono in problemi riscontrabili in fastidi e dolori, come il mal di schiena.

Per affrontare e risolvere questo tipo di problematiche, senza dover ricorrere all’uso di farmaci, si può far riferimento all’aiuto di una professione sanitaria, basata sulla disciplina olistica, che si occupa della salute della persona nella sua interezza: la chiropratica.

Con il termine ”chiropratica” si intende una tipologia di medicina alternativa incentrata sulla manipolazione manuale della colonna vertebrale e sul benessere della persona, che trova il suo fondamento nell’equilibrio coesistente tra aspetto biochimico, strutturale e psicologico.

Quando la comunicazione tra sistema nervoso centrale (i.e. cervello e midollo spinale), muscoli e organi periferici funziona, i tre aspetti sopracitati lavorano in armonia e la persona è considerata essere in buona salute.

Una corretta struttura, allineamento e funzionalità della colonna vertebrale, quindi, sono necessari per il giusto funzionamento ed equilibrio dell’apparato neuro–muscolo-scheletrico ed è proprio su questo principio che si fonda la chiropratica.

Si calcola che, tra vita sedentaria e posture scorrette, l’80% della popolazione adulta soffra almeno una volta nella vita di lombalgia e cervicalgia e proprio per tale ragione, sempre più persone, oggigiorno, si affidano alle mani sapienti del chiropratico.

Chiropratica: un po’ di storia

Il termine “chiropratica” deriva dall’unione di due parole greche: “keir” e “praxis“, “mano” e “azione”. Di conseguenza, il significato letterale di chiropratica è “azione manuale“, o “azione con le mani“.

Secondo la definizione fornita dal Consiglio Generale di Chiropratica (General Chiropractic Council, o GCC), questa forma di medicina alternativa rappresenta “una professione sanitaria che ha interessi per la diagnosi, il trattamento e la prevenzione delle malattie meccaniche del sistema muscolo-scheletrico e per gli effetti che le suddette malattie hanno sulle funzioni del sistema nervoso e sullo stato di salute generale“.

Portata alla luce nel 1895 dal suo fondatore, il canadese Daniel David Palmer, la chiropratica ottenne i primi riconoscimenti da parte delle comunità mediche e da parte dell’OMS (Organizzazione Mondiale della Sanità) solo negli anni ’90. In Italia, il suo riconoscimento legale risale al 2007. Nel corso degli anni, la chiropratica è stata riconosciuta anche dalla medicina classica in molti paesi del mondo. Negli Stati Uniti, ad esempio, è una terapia rimborsata dal sistema sanitario pubblico.

Per Daniel David Palmer molte malattie e disturbi muscolo-scheletrici sono il frutto di disallineamenti della colonna vertebrale, che non consentono al flusso di “energia vitale”, insito all’interno del corpo e generatore di salute, di scorrere fluentemente nell’organismo.

Cosa fa il chiropratico?

Il dottore in chiropratica, utilizzando criteri basati sulla biomeccanica e sulla neurologia, attraverso tecniche manuali sofisticate, riesce ad individuare le disfunzioni primarie e, conseguentemente, ad agire ripristinando il giusto funzionamento della colonna vertebrale, dell’apparato muscolo scheletrico e del sistema nervoso.

Riconducendo i problemi strutturali del corpo a squilibri tra articolazioni e nervi, e in particolare a quelli che riguardano la colonna spinale, il chiropratico, tratta il disturbo agendo a livello della colonna, così da evitare che possa interferire con i nervi presenti, provocandone la sublussazione e dando luogo a vari sintomi, come ad esempio: mal di schiena, dolore alla cervicale, cefalea, dolori alle spalle e collo, parestesia agli arti, sciatalgie, disturbi del ciclo mestruale e diversi altri disagi.

Oltretutto la chiropratica non cura solo il benessere del corpo, ma anche quello della mente attenuando i disturbi legati alla depressione e all’ansia.

Prima visita e trattamento

La peculiarità del lavoro svolto dal chiropratico è rappresentata dalla cosiddetta “manovra di aggiustamento”, che, con il ripristino del corretto stato della colonna, conduce il corpo all’auto-guarigione. È proprio durante la manovra di aggiustamento che avviene il caratteristico “scrocchio“, detto “scroscio articolare”, provocato dalla improvvisa diminuzione della pressione intra articolare con annessa produzione di formazioni gassose all’interno del liquido sinoviale delle articolazioni.

Durante la prima visita il chiropratico fa una valutazione ortopedica, neurologica e funzionale del paziente per capire se è idoneo ad essere sottoposto ai trattamenti. Normalmente, le sedute si svolgono con cadenza settimanale per poi, lentamente, distanziarsi su archi temporali maggiori. Quando la situazione si è stabilizzata, è molto utile fare dei controlli regolari, per poter mantenere le correzioni nel corso del tempo e, soprattutto, per evitare una recidiva.

Accade, a volte, che dopo il primo trattamento i sintomi si possano acutizzare. È bene ricordare che ciò è assolutamente normale, poiché il corpo sta reagendo, passando per un periodo di transizione, prima di raggiungere l’equilibrio dovuto.

Come si diventa dottore in chiropratica?

La carriera di chiropratico dura da cinque a sei anni universitari, al termine dei quali si diventa “dottore in chiropratica”. Attualmente, il laureando italiano in chiropratica non ha altra alternativa che quella di frequentare una università straniera riconosciuta e pertanto deve dimostrare una buona conoscenza della lingua inglese.

La chiropratica è anche una pratica di prevenzione

Spesso ci si abitua ad uno status, pensando di stare bene, senza rendersi conto che si potrebbe stare ancora meglio.

Dovremmo sempre più spesso ricordare che il dolore è il fine di un processo molto complicato e che già sin dal primo segnale, seppur lieve, deve essere visto come un avvertimento da parte del corpo.

Va, infatti, sottolineato che le problematiche posso presentarsi anche molto prima della comparsa del dolore e perciò sarebbe opportuno considerare la chiropratica anche da punto di vista preventivo, ambito in cui risulta essere molto utile ed efficace.

Un controllo chiropratico periodico, anche in assenza di sintomatologia dolorosa, migliora l’assetto dell’apparato neuro-muscolo-scheletrico e fa sì che possano essere evitati disturbi fastidiosi, o dolorosi come il mal di schiena e ulteriori, spesso invalidanti, problemi che ne conseguono.

Fisioterapia: storia, ambiti di intervento e prevenzione

Sempre più di frequente al giorno d’oggi si soffre di mal di schiena, un disturbo spesso trascurato, ma in continuo aumento, poiché l’adozione di abitudini poco sane si ripercuote puntualmente sulla salute della colonna vertebrale, incidendo sulla qualità della vita.

Secondo i dati del “Global Pain Index”, il 97% degli italiani è affetto da dolore muscolo-scheletrico, che è generalmente riconducibile al mal di schiena (quest’ultimo al terzo posto tra le principali cause di assenza dal lavoro).

Recuperare le funzioni fisiche compromesse, o messe in pericolo da un trauma, una malattia, o da una disabilità richiede un approccio terapeutico basato su trattamenti ed esercizi, nonché sull’educazione del paziente. Oltre al recupero prettamente funzionale, anche una corretta informazione è un obiettivo cardine della fisioterapia, col fine di aiutare i pazienti a prendersi cura di loro stessi e della loro salute nel modo migliore possibile.

La fisioterapia: qualche cenno storico

La fisioterapia è una disciplina che ha origini molto antiche. Difatti, sin dal 480 a.C., lo stesso Ippocrate, il “padre della medicina”, già curava i suoi pazienti con trattamenti come massaggi, manipolazioni e persino attraverso l’idroterapia.

Oggigiorno, con “fisioterapia”, o “fisiokinesiterapia”, si identifica una branca della medicina nata tra la fine del Settecento e gli inizi dell’Ottocento grazie al contributo del medico Pehr Henrik Ling, il quale inventò la cosiddetta “ginnastica svedese”.

Resa ufficiale proprio presso il “Consiglio Nazionale Svedese per la salute e il welfare e finalizzata al coinvolgimento del paziente tramite l’educazione e la consapevolezza, la fisioterapia è oggi divenuta una pratica sempre più diffusa, poiché in grado di agire positivamente su diversi disturbi e patologie, senza ricorrere all’uso di farmaci.

La figura professionale del fisioterapista

Ancora oggi, durante la pratica terapeutica, il metodo più comunemente usato dal fisioterapista è quello della forza meccanica esercitata con l’uso delle mani sul corpo del paziente. A questo può essere integrato anche l’utilizzo di mezzi meccanici, quali, ad esempio, la fototerapia, la termoterapia, o l’elettroterapia.

Il contributo che il fisioterapista può dare alla salute delle persone e ai casi che necessitano di riabilitazione è notevole, tant’è che l’8 settembre di ogni anno ricorre la “Giornata mondiale della fisioterapia”.

Quella del fisioterapista costituisce una figura professionale che supporta lo sviluppo e facilita il recupero muscolo-scheletrico, consentendo alle persone di poter vivere la propria quotidianità serenamente.

Cosa cura il fisioterapista?

Il fisioterapista, su prescrizione del medico, oltre che contribuire alla prevenzione di disturbi e patologie, può agire direttamente sul disturbo già presentatosi, seguendo il paziente durante tutto il percorso di recupero.

Tra i vari ambiti di competenza ed intervento di un fisioterapista ci sono:

  • Mal di schiena, o lombalgia;
  • Sciatalgia, o lombosciatalgia;
  • Cervicalgia;
  • Riabilitazione post-intervento;
  • Cervicobrachialgia;
  • Sindrome del tunnel carpale;
  • Ernia del disco;
  • Colpo di frusta;
  • Lombalgia acuta, o “colpo della strega”;
  • Fratture ossee;
  • Contusioni, distorsioni o lussazioni;
  • Riabilitazione dopo l’impianto di protesi;
  • Difetti di postura;
  • Epicondiliti;
  • Scoliosi, dorso curvo e iperlordosi;
  • Traumi muscolari (strappi muscolari, lesioni, o contratture);
  • Lesioni parziali, o totali dei tendini;
  • Lesioni dei legamenti;
  • Infiammazioni articolari
  • Artrosi;
  • Artriti;
  • Tendiniti;
  • Rinforzo muscolare.

La fisioterapia ha svariati campi d’applicazione che si diversificano tra patologie ortopediche dell’apparato muscolo-scheletrico (e.g. traumi, infortuni, patologie croniche, degenerative, posturali, articolari, o funzionali) e patologie di origine neurologica (e.g. ictus, sclerosi multipla, Parkinson).

Il fisioterapista, inoltre, può intervenire nella riabilitazione resa necessaria da patologie respiratorie in bambini, adulti e anziani e può essere di supporto anche in casi di incontinenza, mediante degli esercizi specifici del pavimento pelvico.

La fisioterapia come strumento preventivo

L’attività che svolge il fisioterapista è a scopo preventivo, curativo e riabilitativo. E nonostante la prevenzione rappresenti un fattore importante per evitare la comparsa e/o il peggioramento di disturbi, sono ancora poche le persone che si rivolgono a questa figura professionale per scopi preventivi.

La prevenzione fisioterapica è atta sia a correggere abitudini scorrette che in futuro potrebbero evolvere in disturbi patologici, sia all’allenamento propriocettivo ed il rinforzo muscolare volti a prevenire infortuni, un aspetto di grande rilevanza anche per chi pratica un qualunque tipo di attività fisico-sportiva.

La fisioterapia nei bambini e negli anziani

In età pediatrica è molto frequente l’adozione di posture scorrette che potrebbero portare a problematiche piuttosto severe durante l’adolescenza, o l’età adulta. In questi casi, è utile che il medico curante consigli la fisioterapia a scopi preventivi.

Per quel che riguarda gli anziani, quella del fisioterapista è una figura professionale fondamentale non solo per la riabilitazione, ma anche per migliorare equilibrio e stabilità ed, in generale, per allenare il proprio corpo a preservare le capacità motorie e funzionali che permettono di svolgere le attività quotidiane.

La fisioterapia è una branca della medicina di importante supporto per una vita sana, non solo per persone anziane, o atleti, ma bensì per tutti, rappresentando un valido aiuto a qualsiasi età, soprattutto in un’ottica di prevenzione della comparsa di problematiche più gravi, o invalidanti.

Otite: una delle problematiche più fastidiose per i bambini

Dopo la “Giornata mondiale dell’udito” del 3 marzo scorso, quest’oggi parliamo ancora di quanto sia importante prendersi cura delle orecchie e del nostro apparato uditivo in toto, di modo da salvaguardare non solo il nostro benessere, ma anche la capacità di recepire e rispondere agli stimoli.

L’orecchio è il principale organo del sistema uditivo, nonché apparato fondamentale per il senso di equilibrio del corpo, di orientamento spaziale e di coordinamento del movimento, grazie alla presenza del “sistema vestibolare“, una componente dell’orecchio interno.

L’organo è composto da tre parti: l’orecchio esterno, quello medio e quello interno. Oltretutto, la sua duplice funzione, che permette la percezione dei suoni da una parte e fornisce informazioni sulla posizione del corpo nello spazio dall’altra, lo rendono un organo particolarmente complesso per struttura e funzionalità.

Si tratta, però, anche di un apparato delicato, spesso minacciato da microrganismi esterni atti a provocare malattie di gravità variabile, come l’otite, che è una delle patologie pediatriche più frequenti. Gli studi evidenziano, infatti, che circa l’85% dei bambini è affetto da almeno un episodio e che approssimativamente il 46% avrà una forma di otite entro i primi 3 anni di vita.

Otite: cos’è?

L’otite è un’infiammazione dell’orecchio a decorso acuto, o cronico, principalmente causata da germi patogeni che possono localizzarsi in corrispondenza dell’orecchio sia in modo diretto, sia per il propagarsi di focolai infiammatori, sia a causa di metastasi settiche.

Si parla di otite acuta, quando l’infiammazione si conclude in un breve periodo e senza dover ricorrere a cure; è, invece, cronica quando, non riuscendo a debellare spontaneamente il patogeno in tempi relativamente rapidi, si deve fare ricorso all’uso di farmaci specifici per ottenere una guarigione completa.

Otite: classificazione, cause e sintomi

In base al tratto auricolare coinvolto, è possibile distinguere tre principali forme di otite:

  • Otite interna, quando l’infiammazione coinvolge, appunto, l’orecchio interno;
  • Otite media, quando lo status infiammatorio è invece a carico dell’orecchio medio;
  • Otite esterna, quando l’infiammazione colpisce il canale uditivo esterno e in alcuni casi anche il timpano che, talvolta, ne può risultare compromesso.

L’otite interna, o labirintite

L’otite interna, detta anche labirintite, è un’infiammazione a carico del labirinto auricolare, un’area dotata di strutture anatomiche responsabili del mantenimento dell’equilibrio e dell’ascolto dei suoni.

Sono diverse le cause della labirintite, nella maggior parte dei casi si tratta di fattori di origine virale, o batterica, i quali inducono l’infezione presente nelle vie respiratorie a propagarsi fino all’apparato auricolare, procurando sintomi come vertigini, nausea e mal di testa.

Anche lo stress può essere causa di otiti. Si tratta di un disturbo transitorio che compromette l’equilibrio e che, anche se non di origine infettiva, si presenta con gli stessi sintomi della labirintite virale, o batterica. In assenza di infezioni a carico dell’orecchio, lo stress è spesso considerato per primo tra i fattori scatenanti.

La sintomatologia dell’otite interna ha un’insorgenza piuttosto variabile, per quanto tenda comunque a manifestarsi attraverso episodi aggressivi.

L’otite esterna, o “otite del nuotatore”

L’otite esterna è un’infiammazione della pelle che riveste il condotto uditivo ed è favorita proprio dall’ambiente umido del canale; difatti, l’incidenza dei casi sembra essere superiore nel periodo estivo, quando le persone tendono ad avere un maggiore e prolungato contatto con l’acqua, il che ha fatto anche sì che l’otite esterna venisse conosciuta come “otite del nuotatore”.

Oltre alla percezione “ovattata” dei suoni, il sintomo principale è, soprattutto, il forte dolore che si avverte anche solo sfiorando il padiglione auricolare.

L’otite media

L’otite media acuta è una fra le patologie più frequenti in età pediatrica e colpisce il 60% dei bambini al di sotto dei 3 anni, di cui il 24% risulta essere interessato da almeno tre episodi.

Spesso conseguente, o concomitante, ad infezioni virali e batteriche a livello orofaringeo, l’otite media è un processo infiammatorio a carico, per l’appunto, dell’orecchio medio, ovvero quel segmento di risonanza che trasforma le vibrazioni del timpano in suoni e che è in comunicazione diretta con il naso e le vie respiratorie mediante la “Tuba di Eustachio”, la quale, a sua volta, permette il passaggio di batteri e virus all’orecchio medio.

I benefeci del trattamento osteopatico sulle otiti

Dopo un attento consulto specialistico per valutare il quadro sintomatico e le cause dell’otite, qualora il medico stabilisse che non fossero necessarie cure antibiotiche, una valida alternativa per ottenere benefici significativi è l’osteopatia.

In presenza di otiti, l’approccio osteopatico è volto ad agire sulla disfunzione della “Tromba di Eustachio”, attraverso tecniche manipolative che interessano le ossa temporali del cranio, situate lateralmente alla tromba, attorno ai padiglioni auricolari. L’osteopata può ripristinare non solo il normale movimento delle ossa temporali, ma anche l’intero meccanismo cranico, migliorando il drenaggio del fluido dall’orecchio medio.

In età infantile e prescolare lo sviluppo di queste ossa è delicatissimo e vi è la possibilità che si verifichino delle asimmetrie nella posizione dell’osso temporale, il che può generare una scorretta fuoriuscita delle secrezioni e, quindi, l’insorgenza di otiti.

L’osteopata agisce anche sul sistema linfatico e venoso dell’organismo, stimolando il sistema immunitario e la capacità di autoguarigione; con le manipolazioni, inoltre, può regolare il sistema ortosimpatico, il quale controlla l’innervazione delle mucose e, quindi, la produzione di muco.

Altri aspetti che l’osteopata può trattare per curare l’otite e per evitare la recidività del fenomeno sono: riniti, reflussi di muco, raffreddori e deformazioni craniche dovute a traumi da parto, o a un mal posizionamento durante la gravidanza.

Secondo studi di settore, oltre il 30% dei bambini fino a 18 mesi presenta significative restrizioni dell’osso temporale e disturbi (i.e. plagiocefalie) della sua posizione che possono insorgere anche durante il parto e ripercuotersi nel bambino durante la prima fase di crescita.

L’otite rappresenta una problematica risolvibile, ma che può essere piuttosto destabilizzante e dolorosa, soprattutto in considerazione del fatto che tende a colpire neonati e bambini. Per tali ragioni è importante salvaguardare il benessere del proprio apparato uditivo e di quello dei più piccoli, a partire dalle orecchie.