Propriocezione: il nostro “sesto senso” neurofisiologico

Indice

  1. Propriocezione: un senso inconscio

  2. L’allenamento propriocettivo: cos’è e perché è importante

  3. Come si eseguono gli esercizi propriocettivi

  4. Riabilitazione ed educazione alla propriocezione: gli infortuni (anche sportivi)

  5. La propriocezione in fisioterapia

  6. Propriocezione e prevenzione

La propriocezione, altrimenti detta il “sesto senso”, è la percezione della posizione del nostro corpo nello spazio che ci consente di eseguire azioni e gesti coordinati, indipendentemente dalla vista, sia durante il mantenimento di posture statiche che durante il movimento.

Propriocezione: un senso inconscio

Si tratta di un senso “extra”, seppur completamente inconscio, in quanto, a differenza degli altri cinque, è regolato da una parte specifica del cervello. La sua funzione è quella di raccogliere informazioni dai muscoli e dalle articolazioni sui nostri movimenti, la nostra postura e la nostra posizione nello spazio, e poi trasmetterle al nostro sistema nervoso centrale.

La propriocezione è, dunque, un complesso meccanismo neurofisiologico reso possibile dalla presenza di specifici recettori, chiamati “propriocettori”, e l’efficacia di ogni gesto che compiamo giornalmente è garantita proprio da tale meccanismo.

Quando si subisce un trauma, trattandosi di un evento che esce dagli schemi fisiologici delle articolazioni, il sistema propriocettivo si altera e le sensazioni e le risposte motorie sono diverse da quelle che si avvertono in una situazione di normalità. Per esempio, una persona che incontra una problematica alla caviglia (e.g. distorsione, tendinite, intervento chirurgico al ginocchio) e che non è più in grado di appoggiare il piede correttamente, inizierà a zoppicare.

Nei casi più gravi di distorsione alla caviglia, per riguadagnare elasticità a livello di muscoli e tendini, il recupero fisiologico inizia ben prima di appoggiare il piede a terra. L’appoggio del piede al suolo avviene successivamente e, solitamente, in maniera autonoma.

L’allenamento propriocettivo: cos’è e perché è importante

La ginnastica propriocettiva supporta il recupero della capacità di rispondere in maniera adeguata agli stimoli, che sono variabili e provengono sia dal terreno, sia dalla pratica sportiva. Questo tipo di attività permette di capire come le nostre articolazioni, dopo un trauma, siano in grado di riacquistare la loro corretta capacità funzionale.

L’esecuzione di esercizi a difficoltà graduale, progressiva, di lunga durata e con l’ausilio di attrezzature specifiche è alla base della ginnastica propriocettiva, il cui scopo è quello di produrre stimoli continui e ripetuti che educhino ed allenino le strutture neuro-motorie.

La rieducazione propriocettiva viene eseguita con tavolette basculanti, utilizzabili con entrambi i piedi (i.e. bipodaliche), o con un piede solo (i.e. monopodaliche), con le quali è possibile allenare l’equilibrio attraverso l’assistenza di un fisioterapista.

Come si eseguono gli esercizi propriocettivi

Tutti gli esercizi propriocettivi devono essere svolti a piedi nudi, soprattutto nelle prime fasi, e, per intensificare l’allenamento, è possibile adottare un’esecuzione ad occhi chiusi, o in abbinamento ad altri esercizi.

Il nostro equilibrio è controllato anche dalla vista e dall’apparato vestibolare, i quali ricevono le informazioni dal mondo esterno e, attraverso i propriocettori, forniscono al nostro organismo le informazioni esatte sulla posizione del corpo nello spazio.

Riabilitazione ed educazione alla propriocezione: gli infortuni (anche sportivi)

La pratica sportiva prevede un’estrema attenzione alla “qualità” del gesto motorio: uno sport svolto correttamente, infatti, permette di ottenere la massima performance e, allo stesso tempo, di evitare traumi ed infortuni.

La stimolazione propriocettiva è, quindi, di fondamentale importanza per tutti coloro che pratichino un’attività sportiva, garantendo un miglior controllo dell’attività muscolare, una maggiore stabilità articolare, una maggiore resistenza ai microtraumi, un maggior senso dell’equilibrio e, oltretutto, essendo particolarmente utile per la prevenzione di infortuni.

Pensando alla sensibilità propriocettiva della caviglia, il training basato su sollecitazioni controllate ed applicate alle articolazioni è molto importante per svariate tipologie di sportivi, come, ad esempio, danzatori, calciatori, runner, marciatori, pallavolisti e sciatori.

La propriocezione in fisioterapia

Attraverso un adeguato intervento fisioterapico e un’adeguata rieducazione propriocettiva è possibile ripristinare il normale meccanismo di propriocezione. Difatti, la riabilitazione propriocettiva ingloba tutte quelle tecniche ed esercizi utilizzati in fisioterapia che hanno lo scopo di recuperare e migliorare la propriocezione del nostro corpo.

Per raggiungere questo obiettivo, la fisioterapia utilizza tecniche manuali di mobilizzazione passiva, o assistita, e specifici esercizi attivi allo scopo di stimolare i recettori periferici che vanno a correggere e migliorare il movimento fisiologico.

Una delle tecniche utilizzate in fisioterapia è lo “schema di Panjabi” ovvero una piramide creata dallo studioso Panjabi nel 1992 secondo cui la stabilità di un’articolazione è garantita da tre elementi: anatomici, muscolari e propriocettivi.

Per una valutazione propriocettiva, al fine di costruire un protocollo di esercizi specifici, il fisioterapista valuta nel soggetto:

  • La sensibilità propriocettiva generale;
  • L’equilibrio statico bipodalico;
  • L’equilibrio statico monopodalico;
  • L’equilibrio dinamico bipodalico;
  • L’equilibrio dinamico monopodalico;
  • Il controllo del tronco e di tutta la parte superiore del corpo.

Propriocezione e prevenzione

Diversi studi presenti in letteratura basati sull’instabilità quantificabile dimostrano come un controllo propriocettivo può ridurre il rischio di distorsioni della caviglia, distorsioni del ginocchio e lombalgia. La stimolazione propriocettiva è, perciò, di fondamentale importanza per la prevenzione di infortuni.

Non sempre ci si accorge di avere una scarsa propriocezione. Quando si cammina su superfici instabili, si può avere la sensazione di stare per perdere l’equilibrio e talvolta, si può addirittura cadere e/o riscontrare problemi con quei compiti motori che richiedono precisione di movimento.

Il fisioterapista è la figura professionale che può valutare l’equilibrio e la propriocezione, prescrivere degli esercizi che aiutino a migliorarla ed educare il paziente alla comprensione della propriocezione, fattore chiave per ottenere una efficiente stabilità statica e nei movimenti.

Doping: un fenomeno rischioso per la salute pubblica

Con il termine doping, come regolamentato dalla legge 376 del 14 dicembre 2000, si intende “la somministrazione o l’assunzione di farmaci o di sostanze biologicamente o farmacologicamente attive e l’adozione o la sottoposizione a pratiche mediche non giustificate da condizioni patologiche ed idonee a modificare le condizioni psicofisiche o biologiche dell’organismo al fine di alterare le prestazioni agonistiche degli atleti“.

La pratica del doping costituisce un inganno non solo verso gli avversari, ma anche verso se stessi. Sottoporre un fisico sano all’assunzione di farmaci e sostanze per il miglioramento della performance sportiva rappresenta un insulto alla propria salute.

Doping: rischi ed eccezioni

Numerosi studi dimostrano come l’assorbimento di sostanze quali anabolizzanti, stimolanti, o ormoni, possa compromettere il fisiologico funzionamento dell’organismo con effetti che, nella maggior parte dei casi, si manifestano solo nel lungo termine e che talvolta possono rivelarsi fatali.

Solo in presenza di condizioni patologiche certificate da un medico e verificata l’assenza di pericoli per la salute, all’atleta può essere consentita la partecipazione alla competizione sportiva, nonostante l’utilizzo di sostanze ritenute dopanti. Esclusivamente in casi come questo, il doping, rientrando in un quadro di trattamento terapeutico specifico, può essere considerato ammissibile nella pratica sportiva.

Doping: le origini

Potenzialmente coetaneo dello sport, il doping è un fenomeno presente già nell’antichità. Il termine deriva dalla parola inglese “dope, che, in principio, indicava una mistura di vino e tè assunta dagli schiavi americani per rimanere attivi e sostenere ore ed ore di duro ed estenuante lavoro.

Già Galeno descrisse nei suoi scritti le sostanze che gli atleti romani assumevano per migliorare la loro prestazione. A quanto pare, i gladiatori, prima di scendere nell’arena, assumevano sostanze “dopanti”: perlopiù preparati a base di frutta fermentata a elevato contenuto alcolico (allo scopo di conferire all’atleta uno stato di euforia e ridurre la paura).

Il doping in Italia e l’utilizzo in ambito sportivo

La storia dello sport italiano, purtroppo, non esula da casi in cui atleti di fama internazionale hanno fatto uso di sostanze vietate, al fine di aumentare le proprie prestazioni fisiche.

Nell’anno 2019 sono stati effettuati controlli antidoping su 325 manifestazioni sportive, per un totale di 1.245 atleti sottoposti a test, di cui 839 maschi (67,4%) e 406 femmine (32,6%) con un’età media di 27,5 anni.

Di questi 1.245 atleti sottoposti al controllo, sono 86 quelli che sono stati esaminati e, complessivamente, 33 quelli che sono risultati positivi al doping (23 maschi, 10 femmine).

Non è stata rilevata una significativa differenza di genere, ma gli atleti di sesso maschile hanno registrato una netta prevalenza (28,1%) nella positività ai cannabinoidi, mentre le atlete (27,3%) sono risultate positive ad agenti anabolizzanti, a diuretici e ad agenti mascheranti.

Dall’ultima rilevazione del 2021 delle Federazioni Sportive Nazionali (FSN), delle Discipline Sportive Associate (DSA) e degli Enti di Promozione Sportiva (EPS), il 3,5% degli atleti sottoposti a controlli è risultato positivo ai test antidoping, segnando un incremento nell’uso di agenti dopanti rispetto al 2018 e al 2019, quando i positivi erano il 2,2%, e il 2,7%, rispettivamente.

Inoltre, è importante ricordare che questi numeri potrebbero non disegnare un quadro effettivamente esaustivo della diffusione dell’utilizzo di sostanze dopanti, poiché gli amatori tendono ad essere esclusi dalle rilevazioni, non partecipando a competizioni agonistiche e non essendo necessariamente iscritti a federazioni o associazioni.

Doping amatoriale: un allarme da non sottostimare

Il doping amatoriale, anche detto doping della domenica” risulta purtroppo essere una pratica pericolosamente diffusa e dilagante.

Traboccata dallo sport a livello professionistico fino ai centri fitness, il doping è divenuta un’insana abitudine anche per tanti frequentatori di palestre. Questo tipo di realtà, purtroppo, tende ad emergere solo a seguito di fatti di cronaca più o meno clamorosi, essendone il monitoraggio raro al di fuori dei contesti professionistici.

È un’attività dai rischi sottostimati legati anche alle modalità di reperimento delle sostanze: gli utilizzatori ricorrono spesso all’acquisto online, od attraverso canali alternativi, fatto che comporta una pressoché totale assenza di particolari accertamenti relativi alla qualità del prodotto.

Secondo alcune ricerche, circa l’80% dei “dopati della porta accanto” hanno un’età tra i 20 e i 30 anni, età che, al di fuori della percentuale indicata, può scendere fino ai 15 anni. Casi, questi ultimi, in cui il doping può comportare rischi ancor maggiori, incrementando le potenziali ripercussioni durante lo sviluppo e più a lungo termine.

È importante accendere i riflettori sul “doping della domenica”: un fenomeno sempre più praticato, parallelamente all’aumentata diffusione della vigoressia, un disturbo alimentare in cui l’attenzione ossessiva non è solamente focalizzata sulla perdita di peso, ma anche sull’ottenere un fisico scolpito nei minimi dettagli.

Doping: le sostanze utilizzate e i “side effects

In generale, le sostanze dopanti più diffuse sono:

  • Stimolanti per migliorare le prestazioni sportive;
  • Ormoni per aumentare la massa muscolare;
  • Insulina, in quanto sostanza anabolizzante.

Si tratta di farmaci molto pericolosi, poiché in grado di aumentare il rischio di malattie cardiovascolari, tumori epatici, stress, sbalzi di umore, patologie dell’apparato riproduttivo, nonché della disfunzione erettile precoce.

Un’altra pratica altrettanto pericolosa è l’autoemotrasfusione, ovvero il prelievo del proprio sangue e la sua reintroduzione nell’organismo, dopo l’immissione di componenti dopanti.

Regolamentazione e controlli

Il ricorso al doping è un’infrazione sia dell’etica sportiva, sia della scienza medica. Vi sono, infatti, regolamenti sportivi che lo vietano e lo disciplinano, obbligando gli atleti a sottoporsi ai controlli antidoping attraverso l’analisi delle urine e del sangue. Gli atleti che risultano positivi alle analisi vengono squalificati per un periodo più, o meno lungo e, in casi di ricaduta, vengono squalificati a vita.

L’Agenzia Mondiale Anti-Doping, oltre ad essere responsabile dei programmi internazionali efficaci nelle competizioni per lo screening degli atleti, si occupa dell’aggiornamento costante di un elenco delle sostanze e dei metodi che sono incompatibili con gli ideali dello sport e che dovrebbero essere vietati nella competizione atletica.

L’importanza di prevenzione e informazione

Il doping è un serio problema per la salute pubblica e per lo sport, ma, nonostante ciò, c’è ancora poca consapevolezza dei rischi a cui si va incontro. La presenza di una componente “fai da te” importante, inoltre, rende questo fenomeno ancor più pericoloso per la salute e la vita stessa. È necessario chiarire quanto stimolanti ed anabolizzanti possano essere nocivi per l’organismo, comportando un prezzo da pagare molto elevato e che, spesso, si manifesta a distanza di tempo, rendendo pressoché impossibile un recupero tempestivo ed efficace.

Prevenzione, formazione ed informazione devono essere promosse a più livelli: dall’ambito familiare e scolastico, a quello delle società sportive e del Servizio Sanitario Nazionale.

Il nuoto: mille benefici, ma anche qualche rischio

In occasione della “Giornata mondiale dell’acqua” appena trascorsa (ricorre il 22 marzo di ogni anno), che celebra l’acqua quale risorsa essenziale per molti aspetti legati alla vita e alla nostra quotidianità, questo articolo è volto ad annoverare i benefici per l’organismo che derivano non solo dalle proprietà dell’acqua, ma anche dalla pratica di uno degli sport più diffusi e ad essa collegato: il nuoto.

Secondo i dati Istat del 2016, in Italia, circa tre milioni e mezzo di persone praticano il nuoto come attività fisica e la “domanda” di questa pratica sportiva è sempre più in crescita.

I benefici del nuoto: tra corpo e mente

I benefici del nuoto si riflettono sulla salute, sulla forma fisica e sull’umore. Ha la peculiarità di rinforzare il sistema cardiocircolatorio, respiratorio e l’apparato scheletrico, di supportare la capacità di apprendimento e di concentrazione, oltre che a favorire la fiducia in se stessi.

Il nuoto è spesso consigliato dai medici quale attività utile ad ogni struttura fisica e fascia d’età: da un lato, si tratta di uno sport in grado di far lavorare tutti i muscoli del corpo; dall’altro lo svolgimento in acqua va ad alleggerire notevolmente il carico sulle articolazioni, semplificando i movimenti del corpo e rendendo questo sport alla portata di tutti.

Nuotare con regolarità permette di definire e tonificare muscolatura e fisico, ma le proprietà benefiche sono ancor più rilevanti in relazione alla salute. Il nuoto è un’attività aerobica in grado di:

  • Rendere più efficiente il metabolismo energetico;
  • Abbassare i valori del colesterolo, supportando così la regolarizzazione di quelli glicemici e la riduzione della pressione arteriosa;
  • Ridurre la frequenza cardiaca a riposo, aumentare la gittata cardiaca e diminuire il rischio di malattie cardiovascolari.

L’acqua, inoltre, esercita sul corpo in movimento un massaggio che produce effetti benefici sulla macro e microcircolazione.

Infine, è di importante menzione l’aspetto psicologico e gli effetti positivi che la pratica del nuoto ha su di esso: l’immersione, la sensazione di leggerezza e lo stato meditativo, quando si nuota, sono tutti fattori che contribuiscono al rilascio di endorfine, alleviando i sintomi di ansia, stress e depressione.

Nuotare: un’attività per ogni fascia d’età

Nuoto e bambini

Consigliato sin dall’età evolutiva, il nuoto rappresenta quell’attività motoria utile ad un corretto sviluppo del bambino, in quanto in grado di prevenire atteggiamenti preparamorfici ed ipermorfici.

Il nuoto, inoltre, favorisce la capacità respiratoria dei piccoli, rendendo più efficiente la vascolarizzazione cardiocircolatoria e, conseguentemente, permettendo anche un miglioramento in termini di capacità di sforzo e recupero.

Da un punto di vista intellettivo, sociale ed affettivo, il nuoto è anche in grado di supportare lo sviluppo dei processi percettivi, di insegnare e favorire la collaborazione ed il controllo dell’emotività.

La pratica del nuoto nell’anziano

Negli ultimi anni il nuoto è divenuto una delle discipline più scelte dagli anziani. Si tratta, infatti, di uno sport molto utile in presenza di malattie dell’apparato muscolo-scheletrico, come possono essere rigidità, osteoporosi e osteoartrosi. Inoltre, questo tipo di attività, grazie al galleggiamento in acqua e all’assenza di gravità, è in grado di proteggere le giunture e la colonna vertebrale.

Il tuffo, oltretutto, anche se semplicemente da bordo vasca, risulta essere un buon allenamento per controllare l’equilibrio e prevenire le cadute.

Rischi e traumi

La “spalla del nuotatore”

Pur essendo il nuoto una delle attività sportive meno traumatiche per via dell’effettiva assenza di carico in acqua, anch’esso può causare sovraccarichi funzionali e portare ad infortuni.

La problematica più diffusa è sicuramente la cosiddetta “spalla del nuotatore”, un disturbo di tipo infiammatorio legato ai tendini della cuffia dei rotatori. Solitamente, il dolore, sintomo dell’infiammazione, si manifesta proprio quando si ripete quel movimento della spalla che ha dato origine alla lesione.

La terapia più appropriata per questo tipo di patologia è la fisioterapia, focalizzata sulla riduzione del dolore e dello status infiammatorio, nonché sul recupero della funzionalità dell’articolazione e la prevenzione di recidive.

Se necessario, all’approccio manuale si possono integrare tecniche meccaniche come la tecarterapia, o le onde d’urto per rendere il trattamento ancor più mirato ed efficace.

Altre tipologie di disturbi legati al nuoto

La “spalla del nuotatore” è sicuramente il disturbo più conosciuto, ma esistono altre tipologie di traumi, sempre di natura infiammatoria, come patologie dei legamenti, la sindrome del patello femorale, la sinovite del ginocchio e la tendinite agli estensori del piede. Anche in questi casi si tratta di disturbi che possono essere trattati attraverso l’approccio fisioterapico.

Altresì situazioni di sovrallenamento, o di adozione di movimenti errati durante la pratica possono causare fastidi alla schiena e a livello lombare. Il nuoto è, inoltre, sconsigliato per la cura di problematiche legate alla scoliosi.

Un valido alleato per la riabilitazione

Quello del nuoto risulta essere uno sport particolarmente utile anche per scopi riabilitativi a seguito di lesioni, o infortuni. È un’attività armonica, a basso impatto, assimilabile ad una forma di stretching attivo che, assieme a sedute di rieducazione posturale, può aiutare a simmetrizzare il lavoro muscolare.

Chi ama il proprio corpo, ama sentirsi in forma e prendersi cura di sé e del proprio benessere, può senza dubbio optare per il nuoto quale scelta sportiva consapevole. L’acqua è nostra amica e nella pratica sportiva la chiave è condividerne lo spirito; basti pensare che i gesti del nuoto sono i più simili a quelli del volo: l’acqua dà alle braccia quello che l’aria offre alle ali.